La lettera dal fronte dei soldati russi: "Chiamano le persone carne da macello"

Micol Flammini

I generali scelgono attacchi che non hanno un valore strategico in Ucraina, ma sono simbolici per ricevere denaro e onorificenze da Mosca. Le scelte “incomprensibili” a Bakhmut e Pavlovka nel racconto di chi combatte sul campo 

I russi mobilitati che vengono mandati a combattere in Ucraina conservano ancora vivido il ricordo della loro quotidianità passata, fatta di lavoro, famiglia, viaggi, per chi poteva permetterselo. La maggior parte non aveva mai pensato di poter combattere una guerra e si ritrova al fronte in un mondo in cui ogni regola è stata sovvertita a  fare un mestiere, quello del soldato, che non ha mai imparato davvero. Spesso arrivano al fronte inesperti, ma a volte abbastanza assennati da capire che alcune azioni che vengono loro richieste non rappresentano soltanto un sacrificio dalle conseguenze irreparabili, ma spesso anche dagli obiettivi strategici poco rilevanti. Un esempio lo ha fornito in questi giorni l’Institute for the study of war (Isw) che ha rilevato l’insistenza con cui l’esercito di Mosca sta cercando di prendere la città di Bakhmut, nell’oblast di Donetsk. Prima dell’invasione, Bakhmut era una cittadina relativamente grande che contava circa 70 mila persone, ora ne sono rimaste 15 mila e affrontano una situazione umanitaria precaria, aggravata dagli ultimi attacchi dei russi, che, a detta delle forze ucraine, stanno concentrando una grande quantità di forze contro la cittadina e stanno bombardando senza sosta  le infrastrutture energetiche. 

 

Bakhmut si trova lungo la strada per Sloviansk e Kramatorsk, ma lontana dai due punti della controffensiva ucraina che si è concentrata a nord-est e a sud. I russi avanzano con lentezza e anche i mercenari del gruppo Wagner sono impegnati nell’assalto contro la città. L’ostinazione sembra essere dedicata a un attacco che quindi, secondo l’Isw, avrebbe più un valore simbolico che strategico e Mosca sta sprecando le sue forze per un’eventuale conquista che non le permetterà di avanzare, né di ritornare nei territori che l’Ucraina ha riconquistato.  Bakhmut è l’esempio di una tendenza allo spreco di vite umane dentro all’esercito russo, di una corruzione che spesso porta i generali a compiere scelte  poco proficue soltanto per ottenere premi e lodi da parte di Mosca. I militari della 155esima brigata di fanteria della Marina hanno indirizzato una lettera al governatore di Primorye, regione nell’estremo oriente della Russia, e hanno illustrato come  il loro gruppo continua a subire pesanti perdite. La lettera è stata pubblicata sul canale telegram Grey Zone e i soldati si lamentano di un attacco “incomprensibile” contro il villaggio di Pavlovka, sempre nell’oblast di Donetsk, in cui tra morti, feriti e dispersi, il loro gruppo avrebbe perso circa 300 persone. Il numero elevato delle vittime sarebbe da imputare a una gestione scellerata da parte dei generali Rustam Muradov e Zurab Akhmedov che hanno pianificato l’offensiva soltanto “per guadagnare titoli dal capo di stato maggiore”, Valery Gerasimov, e per ottenere il riconoscimento di eroe della Russia. Proseguono gli autori della lettera: “L’unica cosa che hanno a cuore è mostrarsi. Chiamano le persone carne da macello”. I soldati chiedono di inviare una commissione d’inchiesta indipendente dal ministero della Difesa per capire cosa sta accadendo al fronte. Il governatore di Primorye ha confermato di aver ricevuto la lettera, di aver contattato i comandi militari ma ha sminuito  il numero delle perdite.  

 

Pavlovka è un paese di 2.500 abitanti, dove i russi fanno fatica ad avanzare e nei giorni scorsi  erano  arrivate altre segnalazioni di difficoltà sul campo spesso legate a una cattiva gestione da parte dei generali che hanno definito le lamentele disinformazione. La lettera della 155esima brigata è stata diffusa da due giornalisti favorevoli  all’invasione russa e che nelle ultime settimane hanno accusato il ministero della Difesa di incompetenza, si sono schierati dalla parte del finanziatore del gruppo Wagner, Evgeni Prigozhin, nel dire che i generali andavano rimossi e nel promuovere un’offensiva più determinata. Per questa ragione, c’è chi  sospetta che la lettera si inserisca in una lotta più ampia tra partiti della guerra –  quello di Prigozhin e quello del ministero della Difesa. Tuttavia a Pavlovka come a Bakhmut le insensatezze sul campo di battaglia sono state rilevate anche dagli analisti stranieri.  Durante un incontro con degli studenti, il propagandista russo Vladimir Solovev ha detto ai ragazzi di prepararsi, perché quando cresceranno sarà il loro turno di andare in guerra. Le lettere dal fronte arrivano anche in alcune delle loro case e alcuni di loro vedono anche  i video dei mobilitati che prima di essere mandati a combattere vengono rallegrati con concerti improvvisati, nel fango, con le uniformi lise. Sono immagini provenienti  da un mondo incompatibile con la  promessa del Cremlino che, dal 24 febbraio, nulla è cambiato in Russia. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.