evacuati i soldati

L'assedio di Azovstal è finito

Ora che nell'acciaieria non si combatte più, la città è interamente in mano russa e per le sue strade ci sono i racconti di un orrore che scopriremo soltanto con il tempo

Micol Flammini

Mariupol è caduta e i combattenti ucraini dopo 82 giorni di resistenza straordinaria hanno accettato di essere evacuati. I russi la raccontano come una resa, ma non lo è: l'accordo tra Kyiv e Mosca prevede uno scambio di prigionieri

La battaglia per Mariupol è finita e i combattenti ucraini che per ottantadue giorni hanno condotto la resistenza nella città portuale, nella notte di lunedì, hanno iniziato a lasciare i sotterranei dell’acciaieria Azovstal, l'ultima parte di Mariupol controllata da Kyiv. Con un videomessaggio il capitano del battaglione Azov Denys Prokopenko ha detto che i difensori di Mariupol hanno eseguito gli ordini, “nonostante le difficoltà hanno distratto le forze schiaccianti del nemico per 82 giorni e hanno permesso all'esercito ucraino di riorganizzarsi, addestrare più personale e ricevere un gran numero di armi dai paesi alleati”. Da tempo i combattenti erano rimasti senza cure, cibo e stavano esaurendo le munizioni. Molti erano gravemente feriti: sono stati i primi a essere evacuati dopo l’accordo raggiunto tra Mosca e Kyiv, anticipato nel pomeriggio dal ministero della Difesa russo e confermato ore più tardi dagli ucraini. 

 

 

“Abbiamo bisogno di eroi vivi”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky augurandosi di "poter salvare la vita dei nostri ragazzi. Tra loro ci sono feriti gravi che ricevono assistenza medica”. L’evacuazione è coordinata con l’aiuto delle Nazioni Uniti e della Croce Rossa, i combattenti evacuati finora sono stati trasportati negli autobus in città sotto il controllo russo. 53 feriti sono stati portati a Novoazovsk, altri 211 a Olenivka. Il resto del battaglione è ancora nei sotterranei e al momento non è possibile fornire cifre precise di quanti uomini debbano ancora essere evacuati. I media di Mosca hanno parlato di una resa, ma l’accordo prevede uno scambio di prigionieri: non è una resa. 

 

Per settimane gli impianti dell’acciaieria Azovstal sono serviti da rifugio per circa mille combattenti, la maggior parte del reggimento Azov, e con loro sono rimasti intrappolati donne, bambini e anziani, evacuati soltanto all’inizio di marzo. Chi è sopravvissuto ha raccontato la vita nel bunker, la brutalità degli assalti russi, le giornate senza luce con cibo e acqua razionati. L’aviazione russa ha condotto pesanti bombardamenti contro il complesso e alcuni video pubblicati su Telegram da funzionari ucraini hanno mostrato munizioni luminose che piovevano sulla struttura. E’ stato impossibile verificare di che tipo di munizioni si trattasse, ma secondo un esperto britannico potevano essere armi al fosforo. L’acciaieria al suo interno ha un complesso di tunnel, i sotterranei sono stati costruiti come un bunker in epoca sovietica e nonostante il tormento delle bombe russe, gli ucraini hanno potuto continuare a nascondersi al suo interno. 

 

 

La battaglia per Mariupol segna uno dei momenti più sanguinosi di questa guerra. La città è strategica, si affaccia sul Mare d’Azov, è un complesso industriale importante, che ora è stato completamente distrutto: se la Russia è lì per restare dovrà assumersi il costo della ricostruzione e non ha risorse. Prima dell’invasione Mariupol contava 450.000 abitanti, molti dei quali sono rimasti intrappolati durante l’assedio. All’inizio del conflitto Mosca ha prima circondato la città, poi tagliato elettricità e acqua e bombardato senza sosta: gran parte della città è un cumulo di macerie: il 90 per cento degli edifici è distrutto. Le bombe hanno colpito ospedali, case, rifugi: soltanto nel Teatro drammatico di Mariupol, uno dei pochi posti in cui erano rimasti acqua e rifornimenti, che Mosca ha bombardato ben sapendo che al suo interno si rifugiavano dei civili, sono state uccise 600 persone. Ci vorrà del tempo per contare le fosse comuni in cui i russi hanno gettato gli abitanti di Mariupol, per raccogliere i racconti delle atrocità commesse nella città portata allo sfinimento, in cui i cittadini sono stati lasciati senza nulla. Sarà la cronaca di un orrore, come è stato con altre atrocità della storia, come i gulag. 

 

 

Per Mosca la caduta di Mariupol vuol dire poter iniziare a stabilire un ponte terrestre tra i territori del Donbas, che controlla a est, e la Crimea, la penisola annessa tramite un referendum non riconosciuto dalla Comunità internazionale nel 2014. Per Kyiv è una perdita importante, ma la resistenza straordinaria si stava trasformando da tempo in un’agonia per cittadini e combattenti che hanno aiutato l’esercito a guadagnare tempo altrove, a ritardare il trasferimento delle truppe russe che non si sono potute allontanare da Mariupol e non hanno potuto quindi aiutare gli occupanti in altre parte dell’Ucraina. E ora che l’assedio è finito i soldati saranno ormai sfiancati, comunque poco utili ai fini della battaglia dei russi, che nell’Ucraina orientale, dopo aver concentrato lì le risorse, non hanno ottenuto guadagni significativi.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.