Ursula von der Leyen e Volodymir Zelensky (Ansa)

Non solo burocrazia

Perché è così difficile far entrare l'Ucraina nell'Unione europea

Giacinto Della Cananea

Lo schema istituzionale di riferimento dell’Ue è stato disegnato in un contesto profondamente diverso da quello odierno, prima che eventi imprevisti accadessero. Al di là della guerra. E poi ci sono questioni di tipo politico, oltre a qualche dissenso già manifestato da alcuni paesi

Tra le richieste urgenti che il presidente Zelensky ha rivolto ai paesi dell’Europa libera, vi è quella di accelerare l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. La richiesta non è rimasta inascoltata: nella dichiarazione concordata a Versailles l’11 marzo, il Consiglio europeo ha ribadito che l’Ucraina “appartiene alla nostra famiglia europea”; la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen si è poi recata a Kyiv, confermando l’impegno a inoltrare la domanda di adesione al Consiglio entro l’estate. Tuttavia, la decisione del Consiglio non è scontata, né nei contenuti né nei tempi, perché al riguardo si confrontano due opposte strategie. 

 

Per molti, la via maestra è quella dell’inclusione dell’Ucraina nella Ue, per una serie di buone ragioni. L’Ucraina soddisfa il requisito fondamentale previsto dai trattati perché è uno stato europeo. Protegge il libero commercio, che rappresenta una condizione necessaria per consentire ai paesi di scambiare risorse e aggiungere valore. Rispetto ai criteri aggiuntivi stabiliti trent’anni or sono dal vertice di Copenaghen, in particolare la democrazia e il rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani, sono stati compiuti progressi. La volontà di avanzare ulteriormente su quei valori condivisi è stata affermata solennemente dai responsabili politici ucraini. Gli stessi eventi traumatici degli ultimi due mesi non sembrano avere attenuato la determinazione, nutrita di fiducia nell’esito finale, a procedere con ritmo intensificato sulla via dell’adesione. 

 

Ma non va sottovalutato il nodo, che è insieme istituzionale e politico, che può ritardare questo risultato, finanche impedirlo. Non è semplicemente una questione di procedure. Vi è anche una questione politica, perché all’approvazione delle istituzioni dell’Ue deve seguire la ratifica del trattato di adesione da parte di ciascuno dei paesi membri, ciascuno secondo le proprie regole costituzionali, e in alcuni di essi si sono già registrati dissensi. Inoltre, da più parti è stata messa in discussione l’approccio finora seguito, che ha dato luogo a una serie di successivi ampliamenti dell’Ue, alcuni dei quali evidentemente non sorretti da una condivisione dei valori di fondo o da un’adeguata revisione del funzionamento dell’amministrazione pubblica e della giustizia. Sullo sfondo, poi, vi è anche la questione dei rapporti con la Serbia e altri paesi balcanici. Di qui l’idea che il processo d’integrazione dell’Ucraina e di altri stati candidati possa procedere speditamente sul versante del mercato unico, in modo da condividere con essi le prospettive di pace e prosperità che ne sono derivate da ben sette decenni, ma senza includerli nell’assetto istituzionale dell’Unione.
 

Allo stato attuale, non è possibile dire quale strategia sia destinata a prevalere. Il punto di fondo è che lo schema politico-istituzionale di riferimento dell’Ue è stato disegnato in un contesto profondamente diverso, prima che eventi imprevisti accadessero: non solo la guerra, ma anche la deviazione dell’Ungheria e della Polonia dal percorso volto a realizzare una democrazia liberale. In altri casi, segnatamente nella pandemia, l’Ue ha dovuto sperimentare sollecitazioni impreviste e improvvisare soluzioni. L’auspicio è che vi riesca ancora, su un fronte ancora più difficile.
 

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