Appunti

È l'inazione dell'occidente che ha armato Putin. La lezione politica di BoJo

Claudio Cerasa

I paesi anglosassoni, facilitati dall’essere indipendenti dal gas e dal petrolio russo, sono quelli che in modo più convinto hanno mostrato in questi mesi all'occidente qual è la via giusta per combattere la Russia. Prendiamo nota (Papa compreso)

Chiamano le cose con il loro nome. Parlano senza imbarazzo di crimini di guerra. Definiscono senza paura Putin un dittatore sanguinario. Non fanno distinzione tra armi offensive e armi difensive. E alla fine dei conti sono gli unici, nel mondo occidentale, a usare senza timore una parola ancora tabù anche per molti amici dell’Ucraina: vittoria. Vincere si può, ha detto ieri il premier inglese, Boris Johnson, in un formidabile discorso tenuto, in collegamento video, con il Parlamento ucraino, in cui ha spiegato che la resistenza delle forze ucraine è una lotta “del bene contro il male” e costituisce la “più grande impresa militare del XXI secolo”.
 

Vincere si può, ha detto giorni fa il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, spiegando che gli ucraini “devono ricevere tutto quello che chiedono”. E lo stesso concetto, in queste settimane, è stato espresso anche dal primo ministro australiano, Scott Morrison, uno tra i primi a inviare sostegni militari all’Ucraina e uno tra i primi capi di governo a essere definito da Putin come persona non grata nel suo paese. In questi mesi, i tre paesi anglosassoni, che a settembre avevano annunciato un accordo trilaterale  per la sicurezza (Aukus) nell’Indo-Pacifico per aprire un fronte di contenimento in chiave implicitamente anti cinese facendo contestualmente perdere alla Francia un ricco contratto da 90 miliardi di dollari australiani per la realizzazione di sottomarini nucleari, sono stati, insieme con le repubbliche baltiche, i paesi che più degli altri hanno dato, con i fatti, un seguito alle proprie parole. Lo hanno fatto mettendo in campo tutte le forze possibili, intelligence, armi, embarghi, aiuti umanitari, per portare il maggior numero di paesi in giro per il mondo dalla parte dell’Ucraina (Boris Johnson, poche settimane fa, ha sottoscritto un importante e ricco accordo di libero scambio con l’India, unica grande democrazia nel mondo a non essersi schierata a favore delle sanzioni alla Russia, e da giorni il premier Modi fa sapere di avere rapporti costanti con il presidente Biden e il primo ministro Morrison). E lo hanno fatto mettendo in campo tutta la propria energia per consentire all’Ucraina di arrivare a una possibile pace con la Russia (non con Putin, con la Russia, perché i paesi anglosassoni credono che non solo che la guerra si possa vincere ma che Putin possa essere vinto) non partendo dall’accettazione di una resa ma scommettendo su una possibile vittoria. I paesi anglosassoni, oggi, facilitati naturalmente dall’essere indipendenti energeticamente dal gas e dal petrolio russo, sono i paesi che in modo più convinto hanno mostrato in questi mesi all'occidente qual è la via giusta per combattere la Russia e sono anche i paesi che più degli altri hanno ricordato a tutti i pacifisti complessisti che le aggressioni di Putin nascono a causa delle loro inazioni e non a causa delle azioni delle democrazie liberali, come ha detto incredibilmente ieri Papa Francesco in un’intervista al Corriere della Sera.
 

Forse – ha detto –  “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto, “un’ira che non so dire se sia stata provocata ma facilitata forse sì”, ha osservato il Pontefice al direttore Luciano Fontana). E ieri Boris Johnson, nel suo discorso al Parlamento ucraino, ha spiegato perché, in questi anni, il vero guaio dell’occidente con la Russia non è stato “abbaiare alle sue porte” ma è stato non far sentire fino in fondo la sua voce. “La verità – ha detto Johnson – è che siamo stati troppo lenti nel capire cosa stesse realmente accadendo e collettivamente non siamo riusciti a imporre le sanzioni che avremmo dovuto imporre a Vladimir Putin: non possiamo più ripetere lo stesso errore”. Passare dalle parole ai fatti significa questo. Significa capire bene, quando si parla di difendere la democrazia, che differenza c’è tra una pace costruita scommettendo sulla resa e una pace costruita scommettendo sulla resistenza. God bless America. God bless Uk. God bless Aukus.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.