(Foto di Ansa) 

La crisi provocata dalla guerra

L'embargo al settore petrolifero russo ha conseguenze anche per gli stati asiatici

Federico Bosco

Dopo le sanzioni dell'Ue la produzione si sta riducendo (-1,5 milioni di barili al giorno), India e Cina comprano solo prodotti scontati ma comunque insufficienti: Mosca rischia il proprio ruolo da leader del settore

L'Unione europea sta preparando il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia in cui si propone l’embargo di tutte le importazioni di petrolio entro sei mesi e dei prodotti raffinati entro nove, allineandosi alla posizione di Stati Uniti e Regno Unito. Se dovessero entrare in vigore, entro la fine dell’anno il petrolio russo verrebbe eliminato dai mercati occidentali. L’embargo vuole prendere di mira anche la capacità di Mosca di vendere prodotti grezzi e raffinati in qualsiasi parte del mondo. Senza l’Europa, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni petrolifere russe, la Russia deve guardare a oriente ma la capacità di esportare in Asia tutti i barili respinti dall'Occidente è limitata, il che significa che l’industria petrolifera russa sarà costretta a tagliare (ulteriormente) la produzione per non saturare la capacità di stoccaggio.

Secondo Daria Melnik, analista senior di Rystad Energy, la produzione diminuirà di un milione e mezzo di barili al giorno nel 2022 e di circa 2 milioni nel 2023 e nel 2024, continuando con questo trend negli anni successivi. Ciò nonostante, all’inizio le cose andranno bene per il bilancio di Mosca. Nella prima fase di sanzioni, afferma Melnik “i prezzi alti porteranno a entrate significativamente maggiori rispetto agli ultimi anni” (181 miliardi di dollari, pari al il 45 per cento in più rispetto al 2021), ma successivamente il pivot asiatico dell’industria petrolifera russa “richiederà tempo e massicci investimenti infrastrutturali che a medio termine vedranno la produzione e i ricavi crollare drasticamente”, conclude Melnik. 

La Russia infatti ripone le sue speranze sui Cina e India, ma Mosca non ha molto da offrire se non barili a prezzi scontati, a due clienti che hanno tutto il potere negoziale dalla loro parte in un contesto in cui i trader internazionali già trattano il petrolio russo come una commodity sottoposta a sanzioni. Dopo l’inizio della guerra le raffinerie indiane sono corse ad acquistare il greggio scontato offerto dal Cremlino, suscitando un certo ottimismo dato che finora solo il 2 per cento del petrolio importato dall’India era russo. A Delhi però queste condizioni piacciono, e vuole conservarle. Secondo le fonti di Bloomberg nei colloqui ad alto livello tra i due paesi gli indiani stanno cercando di ottenere sconti maggiori per compensare il rischio e approfittare della difficoltà russa. Il benchmark del Brent è attualmente scambiato intorno a 108 dollari al barile e gli indiani vogliono comprare a meno di 70 dollari.

Con la Cina non va molto meglio. Al di là dei proclami di “alleanza senza limiti” di Vladimir Putin e Xi Jinping, il rischio di sanzioni secondarie ha smorzato l'appetito delle raffinerie statali cinesi per il greggio russo, mentre gli acquisti di barili a prezzo scontato delle raffinerie indipendenti cinesi sono stati discreti, con gli importatori che aggirano le rotte tradizionali per aiutare Pechino a mantenere un basso profilo e non correre il rischio di essere colpiti dalla potenziale introduzione di sanzioni secondarie statunitensi. La Cina importa dalla Russia il 16 per cento del petrolio che consuma, ma anche se appare naturale che aumenti gli acquisti di petrolio russo, la strategia di Pechino è diversificare le forniture per allargare le relazioni commerciali e cautelarsi dai rischi geopolitici.

Mosca sta scoprendo che anche il mercato dell’energia richiede di far parte a pieno titolo del sistema internazionale, una realtà che l’Iran – oggi un paese meno sanzionato della Russia – conosce bene. Alla Russia servirà molto tempo per costruire legami con nuovi acquirenti e costruire le catene logistiche (oleodotti, raffinerie, porti, rotte e petroliere) alternative per rifornirli, una situazione aggravata dalla mancanza di investimenti stranieri e di tecnologie d’importazione. Se il Cremlino continuerà nel portare avanti la guerra di Putin costi quel che costi, a lungo termine la produzione di greggio russo diminuirà più drasticamente del previsto, e con essa il ruolo della Russia sul mercato globale dell’energia.

Di più su questi argomenti: