Mare Nero

Mosca soffre di mal di mare. La storia lo dimostra

Maurizio Stefanini

Il sogno russo di diventare una grande potenza navale è il racconto di un fallimento. Dal generale Potëmkin all’ammiraglia Moskva

"Per me… La corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!”. “92 minuti di applausi”, nel “Secondo tragico Fantozzi”, seguivano alla iconoclasta provocazione del ragioniere-personaggio simbolo di Paolo Villaggio. In realtà, pure un po’ moderata: per l’autocensura che aveva modificato non solo il titolo, ma anche il nome del regista. “Serghei M. Einstein”, invece di “Sergej Michajlovich Ejzenštejn”. Precauzione inutile, comunque. Nella memoria collettiva, il giudizio scatologico resta direttamente affibbiato alla “Corazzata Potëmkin” originale. Rivista a 46 anni di distanza, forse se riferita al film la battuta era ingenerosa. Tutto sommato, per essere una pellicola del 1925, quella storia di una nave che nel 1905 si era ribellata contro il potere zarista dopo che avevano provato a far mangiare all’equipaggio carne con i vermi potrebbe essere considerata perfino spettacolare, anche se ovviamente  il muto e il bianco e nero, a oltre un secolo di distanza, fanno perdere parecchio. E anche il film più di cassetta diventerebbe un incubo, a essere obbligati a rivederlo a ripetizione come capitava a Fantozzi e colleghi. Scherzo della storia, la relazione tra una nave da guerra russa e Odessa è però tornata drammaticamente di attualità. Da Odessa, infatti, è stato clamorosamente affondato l’incrociatore Moskva. 186 metri, 12.500 tonnellate, in servizio dal 1982 per la marina dell’Unione sovietica, ammiraglia della flotta russa nel Mar Nero. 


Il Cremlino ha provato a sostenere che si sia trattato prima una tempesta, poi di un’esplosione accidentale. Gli ucraini hanno celebrato l’affondamento con il francobollo di un soldato che mostra il dito indice alla Moskva. Gli analisti parlano di difese distratte da un drone, e poi eluse da due missili. Le fonti ufficiali russe che minimizzano la cifra delle perdite sono smentite dai famigliari di membri dell’equipaggio. Almeno 40 morti e molti altri feriti, in gran parte con gli arti mutilati, denuncia in particolare la madre di un sopravvissuto a Novaya Gazeta Europe: versione internazionale dello storico giornale per cui lavorava Anna Politkovskaja. 

 
I media hanno pure ricordato che la Moskva è la prima nave da guerra affondata in battaglia dalla fine della Seconda guerra mondiale, con l’eccezione della guerra delle Falkland-Malvinas: l’incrociatore argentino General Belgrano, che affondò il 2 maggio 1982 colpito da tre siluri del sottomarino britannico a propulsione nucleare Conqueror, con un saldo di 323 morti. E, due giorni dopo,  il cacciatorpediniere britannico Sheffield,  affondato da due Super Étendard armati di missili Exocet, con il saldo di 20 morti e 24 feriti. Come il siluramento da parte di sommergibili o motoscafi era stata la prima causa di affondamento di navi durante la Prima guerra mondiale, così gli aerei erano stati lo strumento principe delle battaglie della Seconda guerra mondiale. La Moskva, invece, è la prima nave affondata da terra con missili. Forse lo storico del futuro la collocherà come simbolico sesto punto di svolta nella storia delle battaglie navali che iniziò col rostro per speronare, effigiato già nei dipinti egizi e protagonista a Salamina e Azio. Continuò con il ponte arpionante introdotto dai romani contro i cartaginesi a Milazzo col nome di “corvo”, evolutosi nei grappini da arrembaggio degli eroi salgariani. La terza tappa della storia è il cannone: introdotto sulle navi attorno al 1350; adattato attorno al 1500 nel sistema di file a oblò laterali iconico dei film di pirati; spostato dai fianchi per essere puntato in avanti  a partire dal primo duello tra corazzate del 1862 a Hampton Road, durante la Guerra di secessione. 

 

La Moskva è la prima nave da guerra affondata in battaglia dalla fine della Seconda guerra mondiale, con l’eccezione della guerra delle Falkland

 
Protagonista numero quattro è il siluro: inventato nel 1860, ma usato la prima volta in battaglia proprio dai russi nel Mar Nero, il 16 gennaio del 1877. La nave Velikiy Knyaz Konstantin contro il vapore turco della Intibah. Protagonista numero cinque, l’aereo. Dal 6 settembre del 1914, quando un Farman decollò dalla nave giapponese Wakamiya per andare ad attaccare l’incrociatore austro-ungarico Kaiserin Elisabeth e la cannoniera tedesca Jaguar nella baia cinese di Kiao-Ciao. Ma si afferma soprattutto nella Seconda guerra mondiale.
Iniziatrice dell’èra dei siluri e prima clamorosa vittima dell’èra dei missili, la Russia navale ha anche il poco invidiabile primato di aver subìto la più colossale sconfitta navale della storia. Accadde al secondo squadrone del Pacifico dell’ammiraglio Zinovij Petrovich Rožestvenskij, costituito da 11 delle 13 corazzate della flotta del Baltico per andare a soccorrere Port Arthur in Manciuria, assediata dai giapponesi. La vicenda l’hanno raccontata fior di storici, ma forse il racconto più avvincente è a fumetti: “L’uomo di Tsushima” di Bonvi, uscito il primo gennaio 1978. Con molte licenze poetiche riguardo alla vicenda; spiazzante nel presentare una vicenda vera con il tratto delle Sturmtruppen; inquietante nel far raccontare la storia dallo spirito di un ufficiale russo attraverso una medium brasiliana, a un Jack London con le fattezze dello stesso Bonvi. Ma comunque rende bene la vicenda allucinante di una flotta mandata letteralmente incontro alla morte. 


Rožestvenskij partì infatti il 15 ottobre del 1904 con 42 navi. Fece il periplo dell’Africa, dal momento che Londra alleata di Tokyo gli vietò il passaggio del Canale di Suez. Il 2 gennaio 1905 gli arrivò la notizia della caduta di Port Arthur: in Madagascar, dove infatti Bonvi immagina che London faccia amicizia con l’ufficiale russo. Ma invece di tornare indietro decise di andare  fino a Vladivostock, per provare a unirsi ad altre navi che stavano là. Ma l’ammiraglio Togo Heihachiro lo aspettava al varco. La gigantesca imboscata fu tesa il 27 maggio 1905 nello stretto di Tsushima, tra Corea e Giappone. Ventuno navi russe furono affondate, tra cui sette corazzate. Altre cinque catturate, tra cui quattro corazzate. Sei navi furono disarmate. Solo quindici riuscirono a passare oltre. 5.045 russi morirono, 803 furono feriti, 601 furono catturati: Rožestvenskij si ritrovò in entrambe queste ultime categorie. Perdite giapponesi: tre torpediniere, 117 morti, 583 feriti. Il bilancio è ancora più impressionante se messo in termini di tonnellaggio affondato: 126.702 contro 450!

 

La Russia ha il poco invidiabile primato di aver subìto la più colossale sconfitta navale della storia, a opera dei giapponesi a Tsushima

 
Contraccolpo è la Rivoluzione del 1905. L’ammutinamento della Potëmkin, il 27 giugno, è giusto a metà tra la Domenica di Sangue, con cui il 9 gennaio inizia la protesta, e la legge elettorale con cui il 24 dicembre lo zar inizia il tormentatissimo esperimento democratico che collassa nella Rivoluzione di febbraio: per il calendario giuliano. Per quello gregoriano è dall’8 al 12 marzo 1917. Ma anche in quella Rivoluzione di ottobre con cui la repubblica democratica è abbattuta dai bolscevichi, 7 novembre 1917 del calendario gregoriano, c’è una nave protagonista: l’incrociatore Aurora, da cui i marinai ammutinati sparano il primo colpo sul Palazzo d’Inverno. Attenzione, che pure il regime bolscevico a sua volta deve poi affrontare i marinai di Kronstadt, che il primo marzo 1921 si ribellano sotto la leadership dell’anarco-sindacalista Stepan Maksimovich Petricenko, già ingegnere appartenente all’equipaggio della nave da guerra Petropavlovsk. Dal 7 al 19 marzo uno scontro durissimo causa tra le 2.700 e le 5.000 vittime, a seconda delle stime. A domare gli insorti Leon Trotzky e Michail Tuchacevskij, che dopo essere stati carnefici in difesa del regime comunista ne saranno poi vittime: il secondo fucilato nel 1937; il primo assassinato in Messico nel 1940. 


Ma nella lista delle navi russe diventate famose per ammutinamenti c’è anche la fregata anti-sottomarini Storoževoj, di stanza a Riga. Con l’obiettivo di prendere la nave, dirigerla attraverso il fiume Neva, ormeggiare accanto alla oramai nave museo Aurora, e trasmettere da lì un appello al popolo contro il regime di Brežnev, la sera del 9 novembre 1975 il commissario politico capitano di corvetta Valerij Sablin attirò il capitano nel ponte inferiore con la scusa di alcuni ufficiali ubriachi in servizio, lo arrestò assieme ad altri ufficiali, li bloccò nel compartimento del sonar anteriore, e prese il controllo. Agli ufficiali superiori disse che intendeva salpare per Leningrado, per spiegare ai cittadini sovietici che il socialismo e la madrepatria erano in pericolo; che le autorità al potere erano corrotte e menzognere; che a causa loro il comunismo era stato accantonato; e che c’era bisogno di rianimare i principi leninisti di giustizia. Otto votarono a favore dell’ammutinamento; sette contro, e furono chiusi in un vano separato sotto il ponte principale. Anche i circa 150 marinai aderirono. 


Nella notte uno degli ufficiali prigionieri riuscì a fuggire e cercò di dare l’allarme, ma non gli credettero. Sablin però decise allora di salpare subito, invece di aspettare fino al mattino per provare a convincere la flotta del Baltico. Le altre navi gli corsero invece dietro, e riuscirono a fermare la fregata ribelle a 69 chilometri dalle acque territoriali svedesi. Sablin fu giustiziato, il suo secondo se la cavò con otto anni, il resto degli ammutinati fu cacciato dalla marina. Trasformando la fregata in un sottomarino e attribuendo la causa dell’ammutinamento all’uccisione della moglie del capitano, la storia divenne un romanzo in inglese e poi un famoso film hollywoodiano: “Caccia a Ottobre Rosso”.  


Dopo la caduta dell’Unione sovietica le navi russe hanno smesso di ammutinarsi, ma non di avere incidenti gravi. Arrivata all’affondamento del Moskva, la presidenza di Putin era iniziata con la tragedia del K-141 Kursk: modernissimo sottomarino a propulsione nucleare della flotta del Nord che era entrato in servizio appena nel 1995, e che il 12 agosto 2000 affondò nel Mare di Barents per l’esplosione di un siluro difettoso durante un’esercitazione. Dopo una serie di tentativi russi falliti, alla fine fu una nave speciale norvegese equipaggiata con un batiscafo inglese che riuscì ad agganciarvisi. Ma trovò che i 118 membri dell’equipaggio erano morti tutti: 95 subito nell’esplosione; 23 superstiti mentre attendevano i soccorsi. Uno di loro, Dmitrij Kolesnikov, fece in tempo a lasciare alcuni drammatici appunti. Alcuni parenti si incontrarono con Putin nella base della Marina di Vidyayevo, dieci giorni dopo la tragedia. Gridarono tutta la loro rabbia contro il presidente al potere da soli cinque mesi, protestando per i ritardi nei soccorsi e la mancanza di spiegazioni. Nel 2018 la storia del Kursk divenne anch’essa un film. Come è diventata nel 2002 il film “The Widowmaker”, con Harrison Ford, la storia dell’altro sottomarino sovietico K-19, che nel 1961 per un guasto al reattore intossicò vari membri dell’equipaggio con radiazioni letali. Una storia nascosta per 30 anni, fino alla fine dell’Urss. 

 

La presidenza di Putin inizia con la tragedia del K-141 Kursk, sottomarino nucleare affondato dall’esplosione di un siluro difettoso in un’esercitazione

 
Una delle prime cose che si impara in slavistica è che il termine per isola significa in realtà “isola fluviale”, e che tutti i termini relativi alla navigazione sono presi da lingue non slave. Soprattutto dal greco. Dunque, la patria di origine degli slavi era lontana dal mare. Poi nel corso delle loro migrazioni ci arrivarono, ma gli ultimi a farlo furono gli slavi della Moscovia. E nel diventare Russia, alla Moscovia venne l’ossessione per trovare sbocchi sul mare adeguati al suo immenso sviluppo terrestre, e dotarsi di una marina all’altezza. Ma le ossessioni, si sa, spesso portano disastri. La prima marina russa, creata dallo zar Michele Romanov nel 1636, consistette in pratica nel solo veliero a tre alberi Frederick: costruito presso Balachna, lungo il Volga, da progettisti danesi originari dell’Holstein. Ma una tempesta lo affondò prima che potesse completare il viaggio inaugurale verso il Caspio. Solo sessant’anni dopo Pietro il Grande, dopo aver tolto agli ottomani la fortezza di Azov – altro nome che torna in questi giorni – presenta alla Duma dei Boiardi il rapporto in base al quale il 20 ottobre del 1696 un decreto costituisce formalmente la prima marina militare russa: 2 vascelli, 4 brulotti, 23 galee, e alla testa il ginevrino François Lefort. Sì: un ammiraglio svizzero! Pietro peraltro ci teneva talmente tanto che andò in Olanda addirittura a lavorare come carpentiere in un cantiere navale per imparare il mestiere. E pure dall’Olanda prese per le navi la bandiera, solo invertendo l’ordine dei colori. E’ lo stesso tricolore russo di oggi, all’origine anche di tante altre bandiere di paesi slavi che infatti girano attorno agli stessi bianco, blu e rosso. Pure lui per avere proiezione marittima fece costruire in riva al Baltico la nuova capitale di San Pietroburgo. 

 

Pietro il Grande costituisce la prima marina militare russa. Alla testa c’è il ginevrino François Lefort. 
Sì, un ammiraglio svizzero

 
Altro personaggio chiave, proprio Grigorij Aleksandrovich Potëmkin. Favorito della zarina Caterina, generale, ministro, diplomatico, forse marito della sovrana. Principe di Taurida, fu lui ad annettere la Crimea, Odessa e il Donbas; a stabilire un protettorato sulla Georgia; a far costruire Cherson, Sebastopoli, Simferopol, Mykolaiv; a creare la flotta del Mar Nero. Da lì in poi la Russia navale ebbe anche momenti di gloria, contro i turchi e anche contro Napoleone, fino a quella battaglia di Navarino in cui navi russe, inglesi e francesi assieme distrussero la flotta turca e diedero l’indipendenza alla Grecia. La Russia navale fu poi bloccata nella guerra di Crimea. Vinse militarmente quella guerra in cui usò per prima il siluro, ma poi perse la pace per via degli inglesi. Fu così spinta a est, fino al disastro di Tsushima. Tornò a guardare a ovest, e ottenne da inglesi e francesi nel 1914 quella promessa di Costantinopoli che avrebbe dovuto diventare Zarograd, salvo che il crollo della Russia avvenne prima di quello turco. Poi il ritorno da potenza militare dell’Urss, fino alla costruzione della seconda flotta del mondo. Il collasso del 1992, e infine il tentativo di Putin di tornare all’obiettivo zarista dei mari caldi. La Siria, la Crimea, la Libia, e adesso di nuovo a tentare di riconquistare quello che aveva ottenuto Potëmkin. Appunto, c’entra non solo per la corazzata di Fantozzi a lui dedicata. 


Il Principe di Taurida, però, era famoso anche per i villaggi Potëmkin; facciate dipinte, villaggi di cartapesta e contadini spostati da una parte all’altra, per far credere a Caterina uno sviluppo che non c’era. Non è pure con  metodi Potëmkin che i Servizi hanno fatto credere a Putin di poter conquistare l’Ucraina in 48 ore, promettendo fiori e applausi degli invasi appunto rivelatisi di cartapesta? E non c’è stato  spesso – da Tsushima al Moskva – il sospetto che la grande marina russa fosse a sua volta una marina Potëmkin? Come diceva Fantozzi…
 

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