Dalla guerra mondiale al "Fuck Putin" ucraino. Quando il francobollo diventa bandiera

Piccoli manifesti di propaganda o manuali minimi di storia. Oppure tesori nascosti per spalloni d'altri tempi. Nei valori bollati i simboli dei conflitti. Parla il proprietario del più antico negozio di francobolli di Milano

Enrico Cicchetti

A vederli tutti lì in fila, con le cuffie in testa e i cellulari in mano, oppure affondati nei cappotti ad aspettare pazienti in un cordone lunghissimo e sorprendentemente ordinato, verrebbe da pensare all'uscita di un nuovo i-Phone in una qualsiasi capitale europea. Eppure, al tempo della posta elettronica, l'oggetto del desiderio è un francobollo. E la città non è una città qualsiasi ma è Kyiv, la capitale dell'Ucraina in un momento di tregua appena riconquistata, di pace apparente. I video, registrati davanti agli uffici postali, mostrano centinaia di persone incolonnate in attesa di accaparrarsi qualcuno di quel milione di francobolli emessi dal servizio postale nazionale (Ukrposhta). Sul quadratino di carta dentellata l’artista Borys Groch ha ritratto uno dei simboli della resistenza ucraina: Roman Hrybov che mostra il dito medio all'ammiraglia russa Moskva. Hrybov è il soldato ucraino che nei primi giorni dell'invasione era di stanza sull'Isola dei Serpenti, nel Mar Nero, e che ha risposto alla richiesta di resa dell'incrociatore di Putin con quella frase che ora campeggia sul margine perforato del foglietto: "Nave da guerra russa, vai ...!". Il "vaffanculo", con inconcepibile tatto, è stato omesso dal valore bollato. Meno cortesia è stata riservata al vero incrociatore Moskva, affondato da due missili Neptun a metà aprile.

 

    

"Ne abbiamo ordinati una trentina di esemplari e sono certo che come lo metterò in vetrina andrà a ruba. Non ha un gran valore economico, ma simbolico sì", dice al Foglio lo storico filatelico milanese Oscar Sanguinetti, che si appresta a riceverli da Kyiv per esporli e metterli in vendita nel più antico negozio di francobolli di Milano. "Non è certo la prima volta che un francobollo diventa un simbolo, una bandiera". Se oggi sono cosa da collezionisti, un tempo viaggiavano per il mondo ed entravano nelle case assieme alle parole dei propri cari. "Sono sempre stati veicoli di propaganda", conferma Sanguinetti. Girando per le bancarelle nei nostri paesi, per esempio, non è così raro incontrare cartoline o bolli con il primo piano di Mussolini, fasci stilizzati, motti e citazioni del Duce che comparivano in maniera sistematica su centinaia di valori e buste postali di quegli anni. Ma anche i repubblicani nella guerra civile spagnola ne fecero ampio uso, così come le varie potenze durante i conflitti mondiali. I francobolli, scrive Matin Modarressi nel Journal of Cold War Studies, hanno svolto un ruolo avvincente anche nella propaganda politica dell'èra della Guerra Fredda. 


"Alcuni francobolli provenienti dalla Cina avevano stampati i pensieri di Mao Zedong bordati di rosso. E poi c'è il caso del povero Lin Biao", aggiunge Sanguinetti. Il ministro della Difesa e vice presidente del Partito comunista era il successore designato di Mao ma cadde in disgrazia e nel 1971 morì in un misterioso incidente aereo. "Il suo volto venne eliminato da tutte le foto ufficiali e sono state cancellate anche sulle foto dei francobolli riportati dai cataloghi cinesi", dice il filatelico. "Un altro caso importantissimo che viene dal paese del Dragone è un francobollo del 1968 che doveva celebrare la 'Grande vittoria della rivoluzione culturale'. Sotto la scritta 'Tutta la Cina è rossa', contadini e operai sventolano il libretto di Mao, sullo sfondo di una grande mappa del paese, tutto rosso appunto. Tranne l'isola di Taiwan, che restava bianca. Non si sa se fu un sabotaggio o un errore, ma il Comitato esecutivo militare decise di fermare la diffusione e di ritirare il francobollo. Alcuni esemplari però erano già stati distribuiti e utilizzati. Oggi sono stimati diverse centinaia di migliaia di euro".

E invece la Russia? "Mosca di francobolli ne ha fatti tanti, ma quelli di propaganda non sono poi tantissimi. Ricordo però che negli anni Settanta noi collezionisti ridevamo sotto i baffi a vedere quelli che arrivavano da oltre cortina, soprattutto dalla DDR, che esaltavano i gloriosi piani quinquennali. Lo sapevano tutti che in realtà dietro il Muro si moriva di fame".   

   

    

Un'altra vicenda esemplare è quella legata al celebre "Gronchi rosa", suggerisce ancora Sanguinetti. Emesso dall'Italia il 3 aprile 1961 per commemorare il viaggio del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi in Perù, fu sostituito con il "Gronchi grigio", perché per errore era stato disegnata una mappa sbagliata del paese latinoamericano. "Il disegnatore, Renato Mura, si era basato su un vecchio atlante geografico che indicava i confini precedenti la guerra con l'Ecuador del 1941-42, con la quale il Perù annesse dei territori nel bacino del Rio delle Amazzoni. Sarebbe un po' come se oggi disegnassimo in un francobollo l'Ucraina senza Donbas e Crimea. Immaginatevi che diatriba ne potrebbe scoppiare!". 

 

Il conflitto di questi giorni nell'est Europa ricorda a Oscar anche un po' la storia della sua famiglia. Lui è il nipote dei fratelli Amleto e Renato, che nel 1906 sono stati i primi ad aprire nel capoluogo lombardo un negozio di francobolli per collezione. "Durante la guerra - racconta - il loro negozio venne letteralmente svuotato. Ma se ne salvò un baule pieno, che divenne la ricchezza da cui ripartire dopo il '45. Del resto i francobolli in tempo di guerra sono spesso stati preziosi: se si possedevano i giusti esemplari, che arrivano a valere moltissimo, potevano sostituire oro e gioielli. Era molto più agevole nasconderli sotto un cappotto e magari portarli fuori confine, in Svizzera. Quei pezzetti di carta sono ben meno appetitosi agli occhi dei malintenzionati rispetto ad anelli e collane e a quelli inesperti di un doganiere possono passare inosservati". Un perfetto tesoro nascosto.      

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti