Il golpe in Sudan mette in pericolo le comunità cristiane

Enrico Pitzianti

Il golpe militare annulla i progressi e fa temere la fine delle libertà religiose. Il futuro dei cristiani sudanesi dipenderà dal ritorno in vigore del codice penale del vecchio regime e dalla forza della comunità internazionale nel difendere le minoranze

La paura cresce tra le comunità cristiane sudanesi perché il colpo di stato dello scorso ottobre potrebbe far perdere al paese le poche libertà religiose conquistate di recente. La pensa così Paul Robinson, l’amministratore delegato dell’ong “Release International” che sostiene i cristiani perseguitati in tutto il mondo e dice: “La finestra di opportunità per arrivare alla libertà religiosa in Sudan potrebbe essere sul punto di chiudersi". Il Sudan fino a qualche mese fa era uno degli ultimi tentativi di democratizzazione in corso nel mondo arabo. Il processo appariva delicato, ma ancora attivo. Oggi non è più così. L’arresto del premier, l’economista Abdalla Hamdok, e la presa del potere da parte del generale Abdel Fattah al Burhan hanno interrotto un percorso politico che era importante anche per il suo valore simbolico nella regione.


Dalla fine della dittatura islamista di Omar al Bashirdurata tre decadi, dal 1993 al 2019il paese africano aveva fatto grandi passi in avanti nel garantire le libertà fondamentali ai suoi cittadini. La Commissione degli Stati Uniti sulla libertà internazionale, nel 2020, aveva messo nero su bianco i “notevoli progressi per migliorare la libertà di religione e di credo” in Sudan. Questo perché il governo di transizione aveva velocemente abrogato la legge sull’ordine pubblico che era usata sistematicamente per punire “gli individui, in particolare le donne, che non si conformano alla rigida interpretazione dell’islam sunnita”. Nello stesso anno erano state vietate le mutilazioni genitali femminili e abrogata la legge sull’apostasia, e questo aveva messo fine, tra le altre cose, alle fustigazioni per blasfemia. Nei due anni di governo di transizione, oltre che sul piano legislativo, si erano fatti progressi dal punto di vista della rappresentanza: Rayaa Nicol Abdel Masih è stata la prima donna cristiana copta nominata al Consiglio sovrano. È in questo contesto di speranza e progressivi miglioramenti che il ministro degli Affari religiosi sudanese aveva potuto affermare pubblicamente di sostenere “la libertà religiosa per tutti” e di porsi addirittura in modo “equidistante da tutte le religioni". Sono toni da democrazia laica che suonano eccezionali nel paese che fino a qualche anno fa ospitava importanti rappresentanti del Jihad islamico egiziano e in cui lo stesso Osama Bin Laden riceveva il lasciapassare direttamente dal governo di Khartum.


Naturalmente, anche prima del golpe, c’era ancora molto da fare: i cristiani in Sudan, che rappresentano soltanto il 5 per cento della popolazione totale, rimanevano comunque poco rappresentati, spesso emarginati e relegati soprattutto ad alcune zone particolarmente povere, soprattutto nelle periferie della capitale Khartum, nella regione dei Monti Nuba e del Nilo Blu. A queste comunità, durante il processo di transizione, erano state fatte promesse che oggi rischiano di non essere mantenute. Come quando, lo scorso marzo, fu lo stesso al Burhan a firmare un accordo di pace con il Movimento popolare di liberazione del Sudan-Nord (Splm-N), il fronte guidato da Abdelaziz al Hilu. L’accordo prevedeva proprio che il nuovo Sudan post-Bashir non potesse imporre alcuna religione e non ne adottasse “nessuna in modo ufficiale”.


Dopo questi progressi, arrivati rapidamente, i sudanesi potrebbero assistere a un peggioramento delle loro libertà altrettanto rapido. Secondo Illia Djadi, analista che si occupa proprio della libertà religiosa nell’Africa sub-sahariana, il nuovo colpo di stato potrebbe colpire duramente la popolazione cristiana del Sudan e “ricordare loro le terribili persecuzioni affrontate in passato”. Il futuro dei cristiani sudanesi, e delle altre minoranze, dipende essenzialmente da due domande: il codice penale introdotto dalla dittatura di Omar al Bashir nel 1991, che prevedeva la nascita di una polizia religiosa e il rispetto della sharia, tornerà a regolare la vita nel paese? E la comunità internazionale avrà le forze e la determinazione per proteggere le minoranze?