Asma Mohamed Abdalla (foto LaPresse)

Non leviamo gli occhi dal Sudan

Paola Peduzzi

C’è anche una tunica bianca nel palazzo del governo che sembra che luccichi. È quella di Asma Mohamed Abdalla

Per il giuramento Asma Mohamed Abdalla ha scelto il simbolo più potente delle rivolte sudanesi contro il regime dell’ex dittatore Omar el Bashir: la tunica bianca. Le tante donne che hanno animato la piazza di Karthoum con i loro canti indefessi indossavano la tunica bianca che nella storia sudanese vuol dire fierezza e resistenza e tradizione, e Asma l’ha portata fin dentro al palazzo del governo, laddove si è celebrato il primo passo della transizione del Sudan, tre anni di convivenza tra militari e civili per ritrovare un equilibrio nella guida di un paese straziato da dittatura, violenza e terrore.

 

Pareva commossa, Asma, dietro agli occhiali e al sorriso: quel giuramento significa molto per il suo paese ma anche per lei, che da tanti anni non poteva nemmeno vivere nel suo Sudan. Classe 1946, Asma era stata la prima donna all’inizio degli anni Settanta a entrare nel corpo diplomatico del Sudan: arrivarono in quegli anni altre due colleghe e questo trio spiccava in tutti gli incontri, vivace, secchione, orgoglioso. Con l’arrivo di el Bashir nel 1989 la carriera di Asma in Sudan si è interrotta: in due anni, il nuovo uomo forte di Karthoum aveva rivoluzionato ogni cosa, per Asma e le sue idee progressiste e occidentaliste non c’era alcun posto. Fu cacciata dalla diplomazia e ben presto dal paese: ha continuato a lavorare nelle istituzioni internazionali, in particolare nell’Unicef, ma ha scelto di vivere in Marocco, perché a Karthoum le pressioni erano troppo grandi per Asma, per suo marito e per sua figlia.

 

Il suo ritorno oggi è uno dei simboli del nuovo governo che si è insediato in questi giorni in Sudan, non perché è una donna (ce ne sono altre tre, ma non è questo il punto) ma perché una come lei, competente e tosta, oggi è di nuovo benvenuta in Sudan, e sarà il volto della diplomazia del paese nel mondo. Quel che sembrava impossibile per lei – Asma ha 73 anni, non ha mai perso la speranza di tornare a casa ma si era abituata all’idea che forse non ce l’avrebbe fatta: ora è il ministro degli Esteri – e per il suo paese è diventato realtà e no, non se lo aspettava nessuno. Quando le proteste sono iniziate nel dicembre dello scorso anno dopo che el Bashir aveva imposto nuove tasse sui beni di prima necessità, il governo ha inizialmente fatto finta di niente, poi ha tentato la repressione, poi di fronte a una protesta che non si scioglieva – la disperazione è più forte della paura – ha pensato di far fuori el Bashir e di portare avanti la dittatura con altri nomi, volti e stellette, un ricambio di potere tutto interno alle gerarchie militari.

 

Per qualche mese la giunta è riuscita, grazie agli sponsor nella regione, a fingere accondiscendenza mentre arrivavano le milizie in città, facevano raid mortiferi ma non eccessivi per non attirare troppa attenzione, mentre si consumavano scontri di potere – la piazza non c’entrava nulla – tra intelligence, esercito e le Forze di azione rapida, cioè i janjaweed che per anni hanno assalito, derubato, violentato il Darfur. I militari non hanno trovato una soluzione alle loro lotte, i manifestanti non hanno abbandonato le strade nonostante le uccisioni, i negoziatori dell’associazione dei professionisti che ha radunato tutte le sigle dell’opposizione al regime hanno insistito nel dialogo (Asma era tra loro) e alla fine sono riusciti ad avere un primo ministro “tecnico”, l’economista Abdalla Hamdok, un governo di esperti, un calendario di incontri per gestire i vari dossier con i militari e la promessa di elezioni tra tre anni, nel 2022. Tutto è bene quel che finisce bene? No. Tra i militari nominati nel Consiglio c’è anche Muhammad Hamdan Dagalo detto “Hemedti”, che è il capo delle paramilizie e sogna di diventare il nuovo el Bashir; l’economia è al collasso, mancano cibo, elettricità, carburante e sicurezza; il paese dipende dagli sponsor dell’ex regime e i militari, nonostante la facciata, presidiano i centri di controllo del Sudan. Ma quel che sembrava impossibile è successo, e l’urlo di gioia che ha accompagnato l’annuncio del primo governo con civili è da guardare e riguardare, come la tunica bianca di Asma: sembra che luccichi.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi