(foto Ansa)

L'intervista

L'ex direttore del Financial Times: “Draghi e Mattarella fino al 2023”

Gregorio Sorgi

È lo scenario ideale secondo Lionel Barber: se l’Italia ha successo con il Pnrr cambierà anche l’Europa. Un piano per gli Eurobond

Londra. Draghi e Mattarella insieme fino al 2023? “Se questo scenario fosse possibile potrebbe essere l’esito ideale per l’Italia e l’Europa. Però dobbiamo concentrarci sull’andamento del governo nei prossimi sei mesi; finora è stato un grande successo, a prescindere dalle vittorie sportive”. Lionel Barber, l’ex direttore del Financial Times (2005-2020)  si dice “positivamente sorpreso” dall’impatto di Mario Draghi (“una Ferrari, non una 500”) sulla politica italiana ed europea. Il suo ottimismo fotografa il sollievo di tanti osservatori internazionali che si augurano che quest’esperimento – “un interludio dorato”, lo chiama Barber – possa durare il più a lungo possibile. L’ex direttore precisa che non ha alcuna voglia di “interferire nella politica italiana”, ma lo scenario da lui preferito sarebbe la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023 seguita dalla sua elezione al Quirinale. L’ex governatore della Bce “sarebbe ideale per fare il presidente della Repubblica, un incarico che gli consentirebbe di esercitare il potere anche se in modo molto diverso rispetto a oggi. Ma dall’altra parte non credo che sarebbe un disastro se Draghi lasciasse Palazzo Chigi nel 2022; questa scadenza potrebbe dargli un ulteriore impulso ad agire rapidamente”. 

 

L'ex direttore del Financial Times Lionel Barber (foto EPA)

La durata e l’esito del governo Draghi non saranno importanti solo per l’Italia, ma anche per l’Europa. Un buon utilizzo dei fondi previsti dal Pnrr può aiutare a superare le resistenze dei paesi del nord Europa sull’emissione di debito comune. L’accordo sul Recovery è stata una “decisione enorme” legata a condizioni e circostanze ben precise ma, secondo Barber, è possibile andare oltre quel principio per due ragioni. Innanzitutto, il premier italiano “è sempre stato convinto che ci fosse troppa enfasi sulle politiche monetarie e troppo poca sulle politiche fiscali”. Ma durante la prima ondata della pandemia “il tabù del debito comune” è stato violato e “Draghi cercherà di sfruttare questo cambio di paradigma, ovviamente con grande prudenza visto che conosce bene i falchi tedeschi”. Il secondo motivo è che presto ci sarà un nuovo cancelliere a Berlino che, con ogni probabilità, non avrà la stessa autorevolezza di Angela Merkel. “Gli unici contrari al debito comune sono i paesi del nord Europa e l’Olanda. Se la Germania si muove, o resta nel mezzo, Draghi e la Francia potranno indirizzare questo dibattito nella loro direzione”. 
 

Barber ha una certa consuetudine con Mario Draghi. Quando era direttore dell’Ft parlavano spesso al telefono e, anche se non si sbilancia a dire se questi contatti proseguano tuttora, dà l’impressione di capire molto bene il modus operandi del premier. Il giornalista ci dice che all’inizio era un po’ scettico sulle prospettive politiche di Draghi perché era al corrente “della dimensione dei problemi dell’Italia”, ma col passare del tempo è “rimasto positivamente sorpreso” dal fiuto politico dell’ex banchiere. “Fin dall’inizio la sua priorità è stata quella di accelerare la campagna vaccinale e avere accesso ai soldi del Recovery, e ha agito di conseguenza”. Draghi ha saputo usare in modo magistrale le condizioni imposte dell’Ue per convincere i suoi alleati di governo a ingoiare dei bocconi amari. Il “successo” di Draghi deriva da un acume politico che “eccede quello di un normale tecnocrate”. “Il premier – conclude – ha saputo gestire le aspettative. E’ entrato in punta di piedi dando l’impressione che fosse riluttante, e che sarebbe stato difficile. Dunque, quando ha ottenuto dei risultati, ha sorpreso tutti ed è salito nei sondaggi. Inoltre, ha avuto fin dall’inizio un chiaro senso delle priorità e ha voluto puntare su pochi temi cruciali: la campagna vaccinale e i soldi del Recovery fund”.