Dopo Bolsonaro e Trump, anche il populista Modi ha un problema col Covid-19

Giulia Pompili

Venticinquemila mila infezioni in un giorno, quasi tutte nelle megalopoli. Perché, nonostante il “lockdown più severo al mondo”, in India la pandemia va così male

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I casi di Covid-19 in India sono ormai così tanti che il paese è diventato il terzo per contagi, dopo l'America e il Brasile. Ci sono state 25 mila infezioni in un giorno, quasi tutte nelle megalopoli di Mumbai, Delhi e Chennai. Siamo quasi a settecentomila contagi complessivi, e la situazione non è in miglioramento.

  

Ma com'è possibile, per una delle economie emergenti più promettenti del mondo, aver fallito così la prova della pandemia nonostante un provvedimento preso proprio all'inizio dei contagi, il 24 marzo scorso? Se l'è chiesto Kaushik Basu, economista di fama mondiale, che sul giornale liberal The Indian Express ha scritto un articolo dal titolo eloquente: “Per come è stato attuato, il lockdown in India è stato la fonte stessa della diffusione del virus”. Kaushik Basu scrive che in termini di tasso di mortalità l'India “sta facendo peggio di Cina, Indonesia, Sri Lanka, Nepal, Bangladesh, Malesia e molte altre nazioni, compresa maggior parte dell'Africa”.

  

Due settimane dopo l'inizio del lockdown in India i contagi hanno iniziato a salire e non hanno più smesso: “Perché è successo? Il lockdown dell'India è stato descritto come il più severo al mondo. Al momento dell'annuncio, con un preavviso di quattro ore, tutti si aspettavano che il governo avesse un piano su come gestire l'improvviso blocco delle attività lavorative, dei movimenti delle persone e della momentanea sospensione delle catene di approvvigionamento. Ma non c'è prova di questo piano nelle azioni successive del governo”.

  

La totale assenza di azioni di supporto al lockdown, per esempio accelerando i test, supportando il settore medico e aiutando i milioni di poveri lavoratori in difficoltà, “è sconcertante”, scrive Kaushik Basu. “E' quasi come se alcune persone al governo, burocrati e persino alcuni politici al governo, avessero deciso di sabotare il lockdown del primo ministro sedendosi dietro, senza fare nulla”. Basu cita il caso del Sudafrica, che subito dopo il lockdown ha concentrato i suoi sforzi sulla costruzione di strutture ospedaliere e centri di test. “Niente di tutto questo è avvenuto in India”. “Per settimane non c'è stato alcuno sforzo per gestire il problema dei lavoratori migranti, ammucchiati e affamati, e lontani da casa”. Del problema dei migranti, in India, ha scritto su queste colonne anche Carlo Buldrini, che ha descritto le carovane dei poveri, degli intoccabili, di quelli a cui il virus ha tolto anche il poco che avevano.

    

A livello politico, poi, nel mezzo del lockdown il primo ministro più nazionalista e populista dell'India moderna, Narendra Modi, è stato costretto ad affrontare la Cina, e la provocazione diplomatica che per un attimo avrebbe potuto trasformarsi in una guerra. Secondo molti il governo di Delhi in questo caso si è comportato bene, cercando la de-escalation. Giovedì è atteso il primo discorso ufficiale del primo ministro Narendra Modi dopo l'inizio dell'epidemia all'India Global Week 2020. Secondo molti osservatori farà finta di niente, e continuerà la sua guerra di propaganda: contro Pechino in politica estera, e internamente contro i musulmani.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.