La polizia si avvicina a London Bridge dopo l'attacco di venerdì 29 novembre

Attacco a Londra. L'Europa incapace di adattarsi

Daniele Raineri

È il 2019, l’America ha regole forti contro i terroristi e noi no. E l’onda alta non è ancora arrivata. La vecchia guardia ci frega ancora, che faremo con i nuovi?

Il caso di Usman Khan, il fanatico che venerdì ha assassinato due persone a Londra prima di essere ucciso dalla polizia, costringe il governo britannico ad affrontare due problemi che non sono stati ancora risolti – e si tratta di un ritardo molto grave. Il primo riguarda le pene per i colpevoli di reati di terrorismo. Khan era stato arrestato nel dicembre 2010 perché era stato ascoltato dalla polizia mentre assieme ad altri complici si dissociava dal gruppo al Muhajirun (un gruppo di fanatici islamisti ormai sciolto che aveva posizioni filo Stato islamico) che considerava troppo “moderato” e organizzava un campo d’addestramento in Pakistan con lo scopo di tornare a Londra e far saltare in aria l’edificio della Borsa. Nel febbraio 2012 il giudice lo aveva condannato a una pena detentiva indefinita per “protezione pubblica” – lo considerava così pericoloso che non aveva fissato una data per la fine della pena – ma lui aveva fatto ricorso e nel 2013 la sua condanna era stata cambiata in sedici anni di carcere.

 

Cinque anni prima tuttavia il governo laburista aveva introdotto nuove regole per mitigare le condanne più lunghe senza fare distinzioni, quindi anche quelle per terrorismo. Secondo le nuove regole i detenuti potevano uscire dal carcere una volta scontata metà della pena in modo automatico senza la necessità di passare per il giudizio di una commissione e con alcune condizioni come l’uso di un braccialetto elettronico, incontri regolari con un funzionario e la possibilità di essere di nuovo portati in prigione in qualsiasi momento. Nel 2012 il governo conservatore-liberale aveva cambiato di nuovo le regole in senso più severo: oggi la pena dev’essere scontata per almeno due terzi e la libertà non è più automatica ma passa per il giudizio di una commissione. Khan in teoria doveva scontare una pena detentiva fino al 2026 (pena di sedici anni meno il tempo già trascorso in cella). E’ stato liberato a metà. Le regole del 2012 non potevano essere applicate contro di lui perché naturalmente non possono essere retroattive (vale a dire che le leggi non si applicano agli eventi accaduti prima della loro entrata in vigore).

   

Il problema numero due è che Usman Khan apparteneva alla vecchia guardia dell’estremismo inglese, quella legata ad al Qaida – anche se sabato il suo attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico – e aveva commesso reati specifici. Ma il 2010 era un’età della semplicità se paragonato a quello che è venuto dopo. Negli anni successivi, in particolare dal 2012 in poi, centinaia di britannici si sono arruolati in gruppi estremisti e soprattutto nello Stato islamico e hanno passato anni in Siria e in Iraq. Khan faceva parte di una enclave ristretta di fanatici, era pericoloso ed era stato intercettato mentre pianificava una strage. Quelli dopo di lui sono una moltitudine e hanno posizioni che dal punto di vista legale sono più ambigue. Molti sono morti, altri non sono mai partiti, di alcuni si sono perse le tracce. In un numero enorme di casi non hanno commesso violazioni dimostrabili, ma hanno soltanto tenuto comportamenti che non sono un reato specifico. Se un fanatico compra un biglietto aereo per il medio oriente e scrive “I love Raqqa” su Facebook i servizi di sicurezza possono bloccarlo in via preventiva, ma è come se le leggi non riuscissero ancora a inquadrare la sua figura con precisione.

   

Il primo ministro, Boris Johnson, ha detto due giorni fa che al momento ci sono 74 casi di libertà sorvegliata di persone condannate per terrorismo in circostanze simili a quelle di Khan. Ieri la polizia inglese ha arrestato di nuovo Nazam Hussain, di 34 anni, che era uno degli otto complici di Khan arrestati nel 2010, perché ha perquisito la sua casa e sospetta che stesse preparando un attacco terroristico.

  

In America c’è un regime diverso perché nel 1994 il Congresso approvò la sezione 3A1.4 delle linee guida per le sentenze negli Stati Uniti, che agisce assieme alle norme contenute nel cosiddetto Patriot Act arrivato dopo l’attacco dell’11 settembre. La sezione funziona da moltiplicatore della pena nei casi in cui i reati siano legati al terrorismo. Per esempio, se contrabbandi sigarette e giri i proventi a Hezbollah, la fazione armata libanese che è sulla lista dei gruppi terroristici dell’America, la pena diventa molto più alta. Il Patriot Act allarga di molto i possibili comportamenti terroristici. Il risultato è che, per fare un altro esempio, nel novembre 2016 un giudice federale a Minneapolis ha condannato tre uomini che volevano lasciare gli Stati Uniti per andare a unirsi allo Stato islamico in Siria a trent’anni di carcere.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)