(Foto LaPresse)

In Israele ora è il turno di Benny Gantz

Micol Flammini

All'ex generale delle forze di difesa israeliane il mandato di formare una coalizione dopo la rinuncia di Netanyahu. Le alternative e uno spettro: il terzo voto

Roma. Mentre in video annunciava che avrebbe rinunciato al tentativo di formare un governo, l’immagine di Benjamin Netanyahu sembrava sbiadirsi. Per la prima volta in dieci anni, il premier israeliano ha detto che non c’erano i numeri e nemmeno le possibilità di costruire una coalizione, ha detto “non riesco”, e ha pronunciato la sua prima rinuncia nel giorno del suo settantesimo compleanno. Dopo le elezioni del 17 settembre, il presidente Reuven Rivlin aveva affidato a Netanyahu l’incarico di formare un esecutivo di unità nazionale e il negoziato con Blu e bianco di Benny Gantz, che ha ottenuto più seggi (33) alle ultime elezioni, è fallito dopo poco. Il premier non si fidava del generale e il generale non voleva governare con il premier. Netanyahu ha continuato a cercare alleanze per arrivare al numero magico, i 61 seggi necessari per la maggioranza nella Knesset, ma su di lui pesano gli anni al potere, il suo logoramento e soprattutto le accuse, tante e ingombranti, in attesa di giudizio. Rivlin, dopo la rinuncia di Netanyahu, si è rivolto a Benny Gantz, l’ex generale delle Forze di difesa israeliane, che ha un mese di tempo per presentare delle opzioni. Questi giorni per la politica israeliana sono un tumulto di prime volte: la prima rinuncia, il primo mandato in dieci anni dato a un politico che non è Netanyahu, il primo pensiero di un Likud senza Bibi. Israele, come notava ieri il giornalista Anshel Pfeffer, sta entrando in acque inesplorate, tutto sembra improbabile ma tutto sta diventando possibile.

 

Gantz ha detto di essere ottimista e pronto a formare un governo “di unità liberale” più che nazionale, si guarda intorno, ma difficilmente riuscirà a raggiungere la soglia dei 61 seggi. Il suo primo obiettivo è quello di trovare un pertugio nel Likud di Netanyahu, cercare di convincere il partito ad abbandonare il suo leader e proporre la formazione di un governo a rotazione, in cui dovrebbe essere lui ad assumere per primo la premiership. Ma nel Likud, per quanto l’idea di indire delle primarie non risulti più così bizzarra come appariva soltanto qualche settimana fa, nessuno è pronto a tradire il proprio leader, neanche Gideon Sa’ar che pure poco tempo fa su Twitter ha gridato “sono pronto” a sfidare Bibi. Gli ambiziosi nel partito sono tanti – il presidente della Knesset Yuli Edelstein, il ministro della Pubblica sicurezza Gilad Erdan, il ministro degli Esteri Israel Katz e l’ex sindaco di Gerusalemme Nir Barkat – ma sono tutti disposti a sfidare (un giorno) ma non a tradire (adesso) e per ora le decisioni dentro al partito le prende soltanto Netanyahu.

 

Blu e bianco cercherà comunque un’alleanza con il Likud e tenterà di estenderla a sinistra, per includere Labour-Gesher e l’Unione democratica, e a destra per includere Yisrael Beytenu di Avigdor Liberman e Nuova destra. Questa formula, che rappresenta la prima opzione di Gantz, varia dal progetto di unità nazionale che aveva in mente Netanyahu che invece nella coalizione non ha mai pensato di rinunciare ai partiti religiosi Yamina, Utj e Shas. Blu e bianco intende proporre delle modifiche strutturali in materia di religione e stato conformi alle idee di Liberman ma lontane da quelle dei partiti religiosi.

 

Questi piani, che assicurerebbero un’ampia maggioranza nella Knesset, sono pieni di se, per due ragioni: il Likud continua a dire che non esistono altri leader al suo interno e, anche qualora Netanyahu dovesse accettare di far parte di un governo con Gantz, dovrebbe allontanare per la prima volta i religiosi, che sono sempre stati parte della sua coalizione e che finora hanno promesso di non abbandonarlo. Con il rifiuto del Likud, le possibilità di Blu e bianco rimangono poche, lo stesso Liberman ha detto che nel suo interesse c’è partecipare a un governo di unità nazionale con Likud e Blu e bianco assieme, altre possibilità non le prende in considerazione.

 

Ci sarebbe un’altra variabile, un’altra prima volta. La Lista comune, che al suo interno è formata da partiti che rappresentano gli arabi israeliani, durante le consultazioni con il presidente Rivlin a settembre ha detto che sarebbe disposta a dare l’ appoggio esterno a un governo Gantz con Labour-Gesher e Unione democratica, ma questa ipotesi va maneggiata con molta cautela. Nella storia della nazione ebraica nessuno finora aveva mai aperto alla possibilità di governare con gli arabi e se Blu e bianco, durante le trattative, dovesse accettare questa opzione, alla prossima elezione – la terza, che sembra sempre più scontata, circola già la data: il 10 marzo del 2020 – potrebbe pagarne le conseguenze e perdere voti.

 

Benny Gantz rimane per molti israeliani un personaggio difficile da afferrare, ma si è affermato come il principale rivale di Netanyahu. “Il generale con la faccia da generale”, come lo aveva descritto anni fa il giornalista Avihai Becker, non riesce a prendersi la vittoria, è un ex capo di stato maggiore, ma nemmeno la sua carica è in grado di dare a Israele quel senso di sicurezza che il leader del Likud ha garantito in questi dieci anni. Soprattutto ora, con un medio oriente impazzito, la Siria di nuovo in crisi, un conflitto con l’Iran che sembra sempre più plausibile e l’alleato di sempre, gli Stati Uniti, distaccato e inaffidabile, la nazione sente più che mai il bisogno di sicurezza: vuole un governo, non un’altra elezione.

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