In Israele il dopo Netayahu è già iniziato. Parla Yossi Klein Halevi
Lo scrittore israeliano ci dice perché Israele è pronto per iniziare una nuova fase, senza dimenticarsi di tutto quello che Bibi ha dato alla nazione
Roma. L’èra post Netanyahu è iniziata. E’ stato un processo lento, che ha preso la rincorsa all’improvviso quando il premier israeliano, in carica dal 2009, “ha cominciato a confondere il benessere del suo popolo con il proprio benessere”, dice Yossi Klein Halevi, scrittore, intellettuale e condirettore dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme. Il 17 settembre gli israeliani sono tornati a votare, per la seconda volta in un anno, e di nuovo, come alle elezioni di aprile, Netanyahu e Benny Gantz si sono ritrovati faccia a faccia, o meglio, questa volta è stato l’ex capo di stato maggiore, leader del partito Blu e bianco, a ottenere la maggioranza relativa dei seggi, 33 contro i 31 del Likud. I due leader hanno tentato varie alleanze, cercato amici, più o meno affini, la lista dei partiti arabi, che dal 1992 non aveva sostenuto nessun candidato come primo ministro, ha fatto sapere che sostiene Gantz, una svolta. Israele va verso un governo di unità nazionale che tenga insieme i due leader Netanyahu e Gantz, “una soluzione stabile per il paese – dice Klein al Foglio – ma resta un problema: chi ricoprirà per primo il ruolo di premier?”. I colloqui vanno avanti, il presidente Reuven Rivlin ha invitato i due leader per nuovi colloqui, ma per avere la decisione definitiva forse ci sarà da attendere fino alla prossima settimana. “Il sistema istituzionale israeliano ammette la possibilità di avere premier a rotazione e questa sarà la soluzione, due anni l’uno, due anni l’altro. Ma chi sarà il primo? Nessuno dei dei due si fida dell’altro, Gantz teme che se Netanyahu avrà la carica all’inizio farà in tempo a governare per due anni e poi portarà il paese a nuove elezioni. Netanyahu invece teme che se la legislatura inizierà con Benny Gantz primo ministro, allora il leader di Blu e bianco farà di tutto per farlo incriminare. Israele ha avuto diversi governi di unità nazionale, anche in momenti cruciali della sua storia, e sono stati positivi, e in questo caso è la miglior soluzione”.
La democrazia israeliana ha dimostrato di essere forte e pronta alle evoluzioni ed è stata questa la mancanza più grande di Benjamin Netanyahu: “La stessa tenacia con cui ha protetto Israele è ora assorbita dalla sua guerra alla sopravvivenza politica, ormai non è più possibile distinguere quello che fa per proteggere la nazione da ciò che fa per tenersi lontano dalle incriminazioni. E’ rimasto incastrato, è inciampato nella tentazione che i governanti hanno spesso: quella di considerarsi indispensabili”. Il paese tuttavia non può negare l’importanza della sua figura, quest’estate è diventato il premier più longevo della storia israeliana, ha superato David Ben-Gurion, Menachem Begin e Yitzchak Rabin, “ha incarnato il modello della volontà ebraica di sopravvivere, ma ora sembra che Israele debba imparare a proteggersi da lui”. Netanyahu ha reso il paese più sicuro, con lui l’economia è cresciuta, è diventato centrale sulla scena internazionale. Con il tempo sono arrivati gli errori e gli errori si sono accumulati. “Ha fatto errori anche all’interno del suo partito, non è stato in grado di costruire una rete di amici, di confidenti, e ora anche il sostegno del suo partito inizia a venirgli meno. Alcuni stretti collaboratori, basti pensare ad Avigdor Liberman, ora sono i più determinati a farlo cadere e da chi è rimasto Benjamin Netanyahu ha preteso un giuramento di lealtà personale”. Se è difficile immaginare come sarà Israele in questa nuova èra appena iniziata, è quasi impossibile immaginare il Likud dopo di lui, “al suo interno ci sono leader di partito, mancano però leader nazionali”.
Israele sembra non riesca a considerare nemmeno Gantz un leader nazionale. “Non ha l’esperienza di Netanyahu e poi c’è un certo scetticismo nei confronti dei generali che entrano in politica, è stato capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, è un personaggio importante, ma quando un soldato vuole fare il politico, poi fatica sempre a togliersi l’uniforme e a pensare da capo di governo. Lo abbiamo già sperimentato”. Ma c’è anche una questione di sicurezza, nonostante il grado militare, Gantz non dà le stesse garanzie di protezione di Netanyahu. “Se ci sarà un’escalation delle tensioni con l’Iran, ad esempio, Netanyahu ha la forza e la statura per ordinare un’azione militare, non è detto che per Gantz sarà lo stesso. Le domande e le paure relative alla sicurezza sono molte e sono tutte legittime: chi altri, se non Netanyahu può proteggerci da tutti i vicini che vorrebbero fare agli israeliani quello che fanno con i loro popoli?”. Ma Israele ha comunque bisogno della sua trasformazione “politica e morale” e mentre leader in grado di assicurarla ancora non si vedono, il governo di unità nazionale rappresenta una soluzione.
Se il dopo Netanyahu può essere un sollievo per la politica interna del paese, non è altrettanto certo che lo sarà dal punto di vista internazionale, “Israele potrebbe riavvicinarsi all’Europa occidentale, questo è importante, dopo lo strano rapporto che Netanyahu ha instaurato con i paesi di Visegrád. Ma è la posizione in medio oriente che preoccupa”. Israele è quindi pronto per iniziare una nuova fase, senza dimenticarsi di tutto quello che Benjamin Netanyahu ha dato alla nazione. Rimane una domanda, importante e che sembra, al momento, senza nomi e senza risposte: di che tipo di leader ha bisogno ora il paese? “Di un leader che tratti le nostre istituzioni democratiche come beni preziosi e non come ostacoli. Di un leader che capisca il valore della moralità, essenziale per il benessere e la sicurezza del nostro paese”, ci dice Yossi Klein Halevi.
Isteria migratoria