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Come è iniziata la guerra contro la realtà. Parla Peter Pomerantsev

Micol Flammini

Propaganda, disinformazione e cospirazione per fermare le proteste a Mosca e Hong Kong. I rischi sono anche in occidente

Roma. Da Mosca a Hong Kong, dove le piazze da un mese sono piene di manifestanti e di scontri, è tornato l’uso della parola propaganda, spesso usata dai regimi per fermare le proteste. La propaganda, con le sue nuove forme, è al centro dell’ultimo libro di Peter Pomerantsev. Nonostante avesse lasciato la Russia da quasi dieci anni, lo scrittore, nato in Urss e cresciuto in Europa, continuava a sentirsi la Russia addosso. Era come se la realtà attorno a lui si fosse improvvisamente russizzata e tutto ciò che nel 2010 lo aveva spinto a lasciare Mosca, dove era andato per lavorare in televisione, stava invadendo anche il resto del mondo. Negare la realtà, distorcerla (in una parola: propaganda) sono abitudini politiche. Così ha iniziato a scrivere “This Is Not Propaganda” che è un’analisi, ma anche un viaggio iniziato per dimostrare come la guerra contro la realtà riguardi tutti, ormai. “Ha presente Magritte? Nel suo dipinto vediamo una pipa – racconta al Foglio Pomerantsev – ma sotto c’è scritto ‘questa non è una pipa’”. 

 

Dal quadro viene il titolo del libro. “Viviamo in un mondo in cui le parole, le immagini, vengono trasformate. I significati si stanno sovvertendo e con loro anche la realtà e l’informazione”. Quindi, nemmeno la propaganda non è propaganda. Propaganda suona come una parola antica, appartenente ai regimi del Ventesimo secolo, e ora è tornata al centro del nostro dibattito quotidiano. La propaganda ha a che fare con l’informazione e se un tempo le società avevano sperimentato i rischi della mancanza di informazioni e della censura, oggi invece sperimentiamo i rischi di una sovrabbondanza di informazioni. “Con la fine dei regimi e dei totalitarismi, la libertà di espressione era la conquista più importante alla quale aspirare. Ora siamo oltre. La battaglia è un’altra, ma stiamo continuando ad applicare la logica della scarsità di informazioni, della lotta alla censura, in un’èra in cui le informazioni abbondano”. Ora la battaglia è per l’accuratezza, per l’oggettività. “Quando Putin dice che l’oggettività non esiste – riprende Peter Pomerantsev – dice che tutto è consentito”. “Niente è vero, tutto è possibile” è il titolo del primo libro di Pomerantsev (pubblicato in Italia da Minimum Fax) e la ragione per cui, invocando Hannah Arendt, l’autore aveva deciso di lasciare la Russia.

 

Veniamo da un’estate piena di proteste, di piazze irrequiete e anche di questo si occupa il libro (in cui si susseguono ricerche, interviste e aneddoti come quello dell’arresto di suo padre Igor accusato di contrabbandare letteratura contro il regime). I cortei di Mosca e gli scontri non c’erano ancora stati quando è uscito “This Is Not Propaganda”, ma leggere Pomerantsev aiuta a capire come i regimi usino la propaganda, la disinformazione, i complotti per delegittimare i manifestanti. “Diffondere teorie cospirative è molto semplice. basta dire che dietro alle proteste c’è la Cia, o il Mossad. In Russia invece hanno iniziato a far circolare la voce che dietro ci sia proprio il Cremlino. E’ un modo per far sentire la gente spaesata, l’obiettivo è demotivarla, convincerla che vive in un mondo che non può capire”. Nulla si può capire, nulla si può conoscere, c’è un relativismo radicale che implica che la verità, la realtà, non si possano conoscere: “Questo è fortemente amplificato dal fatto che la politica non è più ideologica. Putin o il regime cinese non hanno una vera ideologia, hanno un’ideologia flessibile. Putin ha mescolato l’apertura verso l’occidente al mito sovietico, ad esempio. Questa flessibilità ideologica rende la propaganda ancora più difficile da combattere”. I primi a capirlo sono stati il capo del Cremlino e Donald Trump. Questa flessibilità viene usata anche per delegittimare le proteste: mentre è seduto in un bar a Città del Messico, nel libro, Pomerantsev parla con uno spin doctor che gli mostra graficamente come agiscono i manifestanti e chi vuole annientare le proteste. Tra i manifestanti si creano dei legami, chi cerca di dissolvere le manifestazioni deve dissolvere quei legami e la mancanza di identità politica è un’arma vincente.

 

La propaganda e l’assalto alla verità non sono caratteristiche soltanto dei regimi, ma anche delle democrazie occidentali. “C’è un problema con i social, ma non soltanto. Il caso della politica italiana lo dimostra, i social per loro natura premiano, ad esempio, le story di Matteo Salvini, perché su Facebook vince la provocazione, per questo c’è bisogno di una regolamentazione. Poi la questione riguarda anche noi giornalisti che dovremmo forzare i politici a parlare di fatti, a conversare senza lasciare spazio allo spettacolo. La politica non è una soap opera senza regole”.

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