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Elisabetta, la regina che non può dire di no al buzzurro biondo (ma è molto stufa)

Cristina Marconi

La sovrana non è Mattarella e non sbroglia le faccende politiche. Ma i britannici sono molto recettivi ai suoi segnali eleganti

Londra. Chissà se per una volta Elisabetta II, regina d’Inghilterra, si è sognata più potente di quello che è. Potente almeno come Sergio Mattarella, capace di indirizzare il corso delle cose e dire di no, o concedere un sì non del tutto scontato, agli strani frutti di questa estate politica. E invece vedendo arrivare Jacob Rees-Mogg e gli altri emissari del governo, la regina, spiando da dietro le tende, avrà forse pensato con un profondo sospiro di non avere scelta davanti alla richiesta assai pelosa – terrificante, a dirla tutta – del suo primo ministro di mandare in vacanza i deputati per cinque settimane, sottraendoli per un tempo inusualmente lungo al loro lavoro proprio nel vivo dell’azione autunnale, a poche settimane dalla scadenza epocale della Brexit di Halloween. Di certo non le sarà piaciuto vedere il suo nome accostato nei titoli di giornale a una decisione come quella di Boris Johnson, dal retrogusto velatamente autarchico o, per dirla con lo speaker John Bercow, una “vergogna costituzionale”. Ma con un primo ministro non ancora sfiduciato non poteva fare altrimenti, Elisabetta.

 

Certo, hanno avuto tutto il tempo per pensarci prima, questi deputati europeisti che per tre anni si sono visti passare davanti una Brexit a cui hanno saputo dire solo di ‘no’ senza una proposta maggioritaria, costruttiva, e soprattutto senza una sola alzata d’ingegno. E certo che questo Johnson così baldanzoso la sta mettendo in difficoltà – lei ha sempre rispettato la neutralità del suo ruolo e, oltre a non poter fare altrimenti, non è certo a 93 anni che cambierà linea – ma pure Theresa May quando voleva fare la Brexit senza interpellare il Parlamento non è che avesse dimostrato più rispetto per Westminster. Di consolatorio c’è che l’ha pagata, povera Theresa: prima delle disgraziate elezioni lampo di due anni e mezzo fa, quando era forte nei sondaggi e senza opposizione da parte di Corbyn – una costante di questo periodo cupo – si era un po’ montata la testa e questo ai britannici, sia chiaro, non piace mai, in nessun caso.

 

Non piace nel caso dei politici e sicuramente non piacerebbe nel caso di una sovrana la cui sopravvivenza nella contemporaneità è legata al distacco e all’understatement, qualità che non avevano alcuni suoi antenati anche molto recenti dalle simpatie naziste e che non ha il primogenito Carlo, uno che di suo metterebbe bocca ovunque. Non può fare niente, Elisabetta II, anche se la cara sterlina crolla e se qualcuno nel paese si è messo in testa che sia un presidente della Repubblica o la preside a cui rivolgersi quando il compagno di classe fa troppo il bullo.

 

Boris potrebbe aver fatto il passo più lungo della gamba e secondo i primi sondaggi soltanto il 27 per cento dei britannici pensa che la sospensione del Parlamento non sia una mossa abominevole, ma Corbyn che chiede di incontrarla, lui che non canta neppure God Save the Queen e che per decenni ha inneggiato a una simbolica guillotine per i Windsor, è inaccettabile, un tentativo di tirarla per la giacchetta difficile da sopportare da uno che ha avuto anni per fare opposizione seria e non l’ha fatta.

 

Il soft power è la strada migliore, le avranno detto i suoi consiglieri, anche se i deputati avessero deciso di avanzare la “umile richiesta” di bocciare la richiesta di Johnson, cosa che comunque non hanno fatto. Solo un ingenuo come Corbyn poteva pensare che la sovrana scegliesse il coup de théâtre di un “no, Boris, questa non te la passo”, quando le frecce al suo arco sono ben diverse: chissà, suggerisce qualcuno, magari Johnson voleva sette settimane di sospensione e non cinque come quelle che ha chiesto alla fine.

 

Non è che il via libera di Buckingham Palace corrisponda a un endorsement al no deal o significhi che Elisabetta sta chiudendo un occhio, tutt’altro. In fondo il Parlamento può ancora combinare qualcosa la settimana prossima e nelle ultime due di ottobre, a condizione di andarci giù con mano sicura e decisa, ben diversa dai tremolii degli ultimi mesi. La partita non può essere tra un bullo e una sovrana, figure che di democratico hanno poco, ma deve giocarsi nelle piazze e a Westminster, con la supervisione intelligente di una donna che certo non vuole chiudere il suo lungo regno avallando i penchant dittatoriali del primo che passa. Anche perché la mossa di Boris tradisce un certo panico, più che forza denota debolezza e arriva proprio quando sembrava esserci una maggioranza per contrastare il no deal.

 

E poi lui rimane comunque un premier non eletto di un governo di minoranza e prima o poi bisognerà andare alle urne a chiedere se questa mossa spericolata piace alla pancia del paese. Pancia che invece ama Elisabetta e alla quale non sarebbe saggio presentare una mossa invasiva e controversa come un no alle richieste di un primo ministro in un momento in cui, tra le altre cose, l’immagine del figlio più amato, Andrew, continua ad essere pericolosamente vicina alla santabarbara dello scandalo Epstein. Elisabetta la Silenziosa, che non vota e non rilascia interviste, che muove l’opinione pubblica con un sussurro come quando disse “spero che le persone penseranno molto attentamente al loro futuro” prima del referendum scozzese, ultimamente ha lasciato trapelare al Times, mica un tabloid qualunque, la sua crescente “frustrazione” davanti alla manifesta incapacità dei politici di governare. Al di là della posizione personale della sovrana sulla Brexit – che sul suo diario abbia tifato per il leave o per il remain lo sapremo tra cent’anni – per mesi da Buckingham Palace sono giunte folate di gelido fastidio davanti a qualunque tentativo di chiamare in causa la regina. Erano inequivocabili, sono state ignorate, e per questo motivo cui c’è da credere che prima o poi una piccola vendetta – o magari grande, se siamo fortunati – ci sarà. All’ultimo Queen’s Speech Elisabetta ha indossato un bel cappellino euroceleste con i fiori gialli, senza benedire con i consueti diamanti e scarpette argentate la Westminster uscita dalle elezioni lampo della May. Cosa starà preparando il sarto per il 14 ottobre?

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