Prove tecniche di patriottismo europeo
Chissenefrega dei numeri. Il manifesto di Ursula von der Leyen è una grande lezione sui confini della nostra libertà
Il Parlamento europeo, con una maggioranza risicata (383 voti favorevoli, la maggioranza era di 374), ha scelto ieri sera la splendida Ursula von der Leyen, sessant’anni, tedesca, popolare, sette figli, ex ministro della Difesa di Angela Merkel, come nuovo capo della Commissione europea.
L’elezione di Ursula von der Leyen, prima donna della storia a guidare la Commissione, avrà l’effetto di rimettere al centro del dibattito pubblico il tema delle leadership femminili, che in Europa cominciano a essere qualcosa in più di una semplice eccezione e che da tempo sembrano incarnare meglio di molti colleghi uomini il profilo giusto per definire sane alternative al machismo nazionalista (Mette Frederiksen in Danimarca, Zuzana Caputova in Slovacchia, Nicola Sturgeon in Scozia, Tilly Metz in Lussemburgo, Annegret Kramp-Karrenbauer e Angela Merkel in Germania, per non parlare delle verdi tedesche Annalena Baerbock, Katharina Schulze e Franziska Keller e della nuova presidente dell’Fmi Christine Lagarde).
La vera novità dell’elezione di Ursula von der Leyen non riguarda però un tema legato alla semplice questione di genere. Riguarda qualcosa di più importante che ha a che fare con la delimitazione chiara di un terreno di gioco all’interno del quale difendere i confini della nostra libertà. Non è la prima volta che famiglie europee contrapposte scelgono di convergere sul nome del presidente della Commissione europea (seppure con molte spaccature). Ma è forse la prima volta che famiglie europee diverse provano ad avvicinarsi per questioni legate non unicamente alla semplice convenienza. In questo senso, il discorso di Ursula von der Leyen è qualcosa di più di un classico manifesto europeista costruito come una piatta sommatoria di citazioni dei padri fondatori dell’Europa. E’ un manifesto politico e culturale in cui viene definito uno spazio all’interno del quale le famiglie politiche di colore opposto si impegnano a ricordare quali sono i princìpi non negoziabili della nostra Europa. Protezione contro protezionismo. Libertà contro paura. Apertura contro chiusura. Democrazia contro totalitarismo. Multilateralismo contro unilateralismo.
In Europa, ha detto ieri mattina la nuova presidente, vi è spesso “la sensazione che stiamo perdendo il controllo di quel che accade o che si stanno sfilacciando i legami all’interno delle nostre comunità. Ma ci sono state modalità diverse per reagire a questi fenomeni. Alcuni si stanno rivolgendo a regimi autoritari, altri stanno acquisendo influenza globale e creando dipendenze investendo in porti e strade. E altri ancora stanno diventando protezionisti. Nessuna di queste opzioni fa per noi. Vogliamo multilateralismo, vogliamo commercio libero ed equilibrato, difendiamo l’ordine che si basa sulle regole perché sappiamo che funziona bene per noi. Dobbiamo fare le cose nella European way. Ma se vogliamo incamminarci su questo percorso europeo, dobbiamo per forza riscoprire la nostra unità”. L’appello della nuova presidente della Commissione, in verità, alla fine ha fatto meno breccia rispetto a quello che si poteva inizialmente credere tra i parlamentari europei (in Italia ha votato contro la Lega, mentre il M5s, anche per differenziarsi dalla Lega, ha espresso parere favorevole, come Pd e FI, e con i suoi 14 deputati è stato decisivo e se la svolta non fosse opportunistica ci sarebbe da essere colpiti) e il nuovo presidente della Commissione non avrà vita facile dovendo fare ora i conti con una pazza maggioranza europeista che alla sua prima prova di forza ha dimostrato di non essere in grado di governare con fermezza i pazzi egoismi nazionali (i parlamentari del Pd sostengono che ad aver tradito sono stati proprio i socialisti e fra tedeschi, francesi, belgi, olandesi e greci circa un terzo dei voti del Pse sono andati perduti).
Un conto però sono i voti contrari arrivati per ragioni tattiche (il voto di ieri era segreto, ma con il voto palese la maggioranza sarà più solida), un altro conto sono i voti contrari arrivati per ragioni ideologiche. E chi ha votato per queste ragioni contro von der Leyen lo ha fatto (come la Lega, come la Le Pen, come l’AfD) anche per votare contro il riconoscimento trasversale di una zona franca all’interno della quale costruire muri per respingere tutti coloro che hanno trasformato il nazionalismo nel cavallo di Troia dei nemici dell’Europa. “Mio padre – ha detto la von der Leyen – sosteneva che l’Europa è come un lungo matrimonio. L’amore non può essere forte come il primo giorno, ma diventa più profondo. Perché sappiamo che possiamo contare gli uni sugli altri, nei momenti buoni e nei momenti difficili. Perché sappiamo che possiamo discutere, ma possiamo riconciliarci. Perché non dimentichiamo mai il motivo per cui siamo entrati in questa unione”. In un mondo globalizzato, come ricordato a febbraio da Mario Draghi in uno splendido discorso all’Università di Bologna, tutti i paesi, per essere sovrani, e garantire dunque la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo, devono cooperare, combattendo l’idea che sia l’indipendenza a garantire maggiore sovranità. Il sovranismo europeo di Ursula von der Leyen contiene buoni ingredienti per un nuovo patriottismo europeo. Se gli europeisti si ricorderanno di non litigare tra loro, la nuova Europa avrà buone possibilità per tentare disperatamente e orgogliosamente di intonare il suo Make Europe Great Again.
Isteria migratoria