Ursula von der Leyen (foto LaPresse)

Ma quante spaccature può reggere il fronte europeista?

David Carretta

Ursula confermata per un soffio, tanti partiti possono dirsi decisivi. L’Europa assomiglia sempre di più alle sue capitali. Un ideale tanto evocato ma consumato dal tempo. Il suo apparente universalismo maschera insuperabili particolarismi

Strasburgo. La tedesca Ursula von der Leyen è stata confermata presidente della Commissione europea con 383 voti all’Europarlamento, nove voti in più della maggioranza assoluta di cui aveva bisogno per prendere il posto di Jean-Claude Juncker. Il margine molto risicato rispecchia la nuova frammentazione negli assetti politici europei. Il 51,3 per cento non è una maggioranza forte e stabile, tanto più se così tanti partiti possono rivendicare di essere stati decisivi. Le elezioni del 26 maggio dovevano cambiare tutto, per la forza d’urto dell’onda anti Europa che avrebbe dovuto abbattersi sull’Europarlamento.

 

Alla fine l’Europa cambia, nella direzione opposta a quella dei sovranisti, ma assomiglia sempre più alle capitali nazionali: partiti divisi in correnti, franchi tiratori, giochetti tattici. Anche nel campo europeista, con i Verdi che hanno rifiutato di sostenere von der Leyen senza curarsi di far diventare una federalista europea ostaggio dei nazionalisti. La conferma di von der Leyen non era scontata. La tedesca era apparsa in difficoltà per i mal di pancia di socialisti e liberali, dopo che si era mostrata debole sullo stato di diritto. Il nuovo Europarlamento è composto per oltre il 65 per cento da matricole. I socialisti sono attraversati da una spaccatura tra il sud in ascesa (l’asse tra il Psoe spagnolo e il Pd italiano) e il nord in declino (la perdita di influenza della Spd).

 

Un paio di lettere e un bel discorso di von der Leyen sembravano aver ricompattato il fronte europeista: più ambizione sul clima, la proposta di un nuovo patto su immigrazione (“l’Ue ha bisogno di frontiere umane”), l’idea di un regime europeo di riassicurazione per i sussidi di disoccupazione. Ma a quel punto sono comparsi i franchi tiratori non solo tra i socialisti (la Spd tedesca, ma anche altri) ma anche tra i popolari (Manfred Weber, il capogruppo del Ppe, ha ricordato a von der Leyen che lei è una conservatrice tanto quanto il discorso era rivolto alla sinistra) e i liberali (l’olandese Sophie in ’t Veld ha accusato von der Leyen di non essere un “pitbull” sullo stato di diritto). “Nella democrazia la maggioranza è la maggioranza”, ha risposto von der Leyen. “Due settimane fa non avevo la maggioranza, perché non mi conoscevano. Inoltre c’era molto risentimento, cosa che capisco molto bene, sul processo dello Spitzenkandidat”, ha spiegato: “Siamo riusciti a formare una maggioranza pro europea. E’ una buona base per cominciare”. In realtà, la maggioranza che l’ha sostenuta non è completamente pro europea, visto il sostegno ufficiale del M5s e del PiS polacco. Anche la Lega si è persa nei tatticismi, incerta se concedere il proprio voto nella speranza di ottenere un portafoglio importante nella sua squadra (in mattinata il capogruppo Marco Zanni aveva detto di essere “in linea di massima” per l’appoggio) o rimanere fedele alla linea di opposizione all’Ue e ai suoi alleati dell’estrema destra. Dopo infinite discussioni, i salviniani hanno votato contro, accusando von der Leyen di guidare “il gruppo di interessi franco-tedeschi capeggiati da Macron e dalla Merkel” (parola di Mara Bizzotto).