Migranti sopravvissuti all'attacco di Tajoura dello scorso 2 luglio (foto LaPresse)

La domanda che preoccupa l'Ue: che fare dei migranti liberati dalla Libia?

Luca Gambardella

Tripoli pronta a chiudere 15 campi di detenzione mentre la crisi umanitaria si aggrava. Il cortocircuito di Bruxelles, che festeggia la chiusura ma intanto rinnova il sostegno alla Guardia costiera libica

Le autorità libiche hanno liberato circa 300 migranti sopravvissuti al bombardamento dello scorso 2 luglio al campo detentivo di Tajoura. Nei piani del governo di Tripoli, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, altri 15 centri dovrebbero aprire i loro cancelli lasciando migliaia di migranti liberi di andarsene. La domanda, che riguarda da vicino anche il nostro paese, è dove potranno andare.

  

La settimana scorsa, dopo l’attacco di Tajoura che ha ucciso 53 migranti e ne ha feriti altri 130, il ministro dell’Interno libico, Fathi Bashagha, aveva detto che l’esercito non poteva più garantire la sicurezza dei centri di detenzione. Per questo motivo, il governo “sta valutando la chiusura di tutti i centri di detenzione dei migranti e del rilascio di tutti i detenuti in Libia”. Alcuni video pubblicati su Twitter nelle ultime ore mostrano decine di sopravvissuti all’attacco che camminano lungo la strada che conduce a Tripoli. In uno di questi si vedono diverse persone che manifestano contro la decisione dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, di evacuare dal paese solo 55 migranti sui 310 totali.

  

 

Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim, ha chiarito perché la liberazione di migliaia di migranti potrebbe avere un impatto notevole sull’Europa. Davanti a queste persone ci sono tre scenari, spiega Di Giacomo: “Essere riportati in detenzione arbitraria in un paese dove la loro vita è in pericolo; morire in mare; oppure essere salvati da navi internazionali, ong incluse, ed essere portate in un porto sicuro”. E’ ancora presto per capire se davvero queste persone riusciranno a trovare un modo per imbarcarsi per l’Europa provocando un aumento delle partenze dei barconi dalla Libia. Di certo, i combattimenti nel paese hanno aggravato la crisi umanitaria, che rischia di replicare uno scenario yemenita a poche miglia di distanza dai confini italiani. Alla fine di giugno, secondo i dati dell’Unhcr, il paese ospitava 55.750 rifugiati e richiedenti asilo. Altre 769.159 erano le persone considerate più vulnerabili e che richiedevano assistenza. Solo a Tripoli le persone che vivono in condizioni considerate disumane sono 3.000, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Gli sfollati sono 41 mila solo a Tripoli. C’è un rischio crescente che il numero dei libici che decideranno di fuggire dal paese per arrivare in Europa possa aumentare. E che a quel punto debbano essere accolti da rifugiati.

 

  

Ma nel frattempo l’Ue continua a inviare messaggi contraddittori. Ieri sera, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, ha diffuso un comunicato per esprimere la propria soddisfazione per la liberazione dei migranti dal centro di Tajoura. “E’ un passo positivo” e “facciamo appello a tutte le parti coinvolte affinché si accelerino le misure di evacuazione umanitaria in paesi terzi”. L’Ue accoglie così l’appello già lanciato dall’Onu, che chiede da tempo la chiusura dei centri di detenzione dei migranti, considerati luoghi degradanti per la vita umana. Ma nel comunicato della Mogherini manca il passaggio successivo, cioè quello politico: esiste un piano europeo su cosa fare di queste persone?

 

Se l’Ue sembra mancare di idee precise su come rispondere alla crisi umanitaria, resta invece ferma nel sostenere i respingimenti dei migranti operati dalla Guardia costiera di Tripoli. Respingimenti che però sono vietati dalle convenzioni internazionali e che, paradossalmente, alimentano la stessa crisi umanitaria. Nel comunicato dell’External Action Service guidato da Mogherini sono state aggiunte poche righe che chiariscono come a Bruxelles convivano oggi due forze contrapposte quando si parla di immigrazione. “L’Ue resta fermamente impegnata nella lotta ai trafficanti di esseri umani e nel rafforzamento della Guardia costiera libica per salvare vite umane in mare”, spiega il documento. Un’aggiunta necessaria ad accontentare quei governi europei – incluso quello italiano – che finora si sono impegnati nel favorire i respingimenti dei migranti delegandoli alla Guardia costiera libica. Il risultato è un cortocircuito. “La Libia non è un porto sicuro”, ha ribadito il capo delegazione dell’Unhcr nel paese, Jean-Paul Cavalieri. E “credere che Tripoli possa compiere missioni di salvataggio in mare è irrealistico”, ha ripetuto un paio di settimane fa Vincent Cochetel, inviato speciale delle Nazioni Unite.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.