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Con chi stanno i terroristi nella guerra civile che spezza in due la Libia?

Daniele Raineri

Entrambe le parti hanno credenziali antiterroristiche. Lo Stato islamico attacca di più Haftar, ma è per ragioni logistiche. Ecco le indicazioni per orientarsi nella propaganda della guerra civile

Roma. Nella guerra civile in Libia le due parti si lanciano addosso accuse di terrorismo e a volte anche i governi stranieri che le sponsorizzano fanno finta di credere a questa propaganda. Fonti della diplomazia francese e il presidente americano Donald Trump hanno adottato senza protestare e almeno una volta la definizione di “operazione antiterrorismo” usata dal generale Khalifa Haftar.

 

“Operazione antiterrorismo” è lo slogan spinto dal generale per descrivere il suo attacco contro Tripoli. Quindi urge capire con chi stanno davvero i terroristi in Libia. Per chi ha fretta la risposta è: con nessuno, i terroristi stanno con i terroristi e questa guerra civile per loro è un’occasione da sogno per ritornare potenti come prima.

 

Per chi non ha fretta: prima di tutto entrambe le parti hanno fatto campagne durissime contro i terroristi. Le milizie di Misurata che oggi combattono contro Haftar per difendere Tripoli sono le stesse milizie che nel 2016 hanno liberato Sirte, che era la capitale dello Stato islamico in Libia, a prezzo altissimo: settecento morti e il doppio di feriti, in pratica meno della metà dei combattenti è tornata a casa illesa. Ad aiutarli c’erano gli aerei, i droni e gli elicotteri americani che bombardavano con intensità le postazioni dello Stato islamico. E’ ironico che oggi il presidente Trump parli di un’operazione antiterrorismo contro le milizie che nel 2016 avevano la copertura aerea americana. L’Italia ha mandato un ospedale da campo con centinaia di militari per curare i feriti di Misurata e il contingente è ancora lì come segno di alleanza. Dall’altro lato della guerra c’è il generale Haftar che ha sconfitto a Bengasi, quindi in casa, un assortimento di gruppi fanatici che includeva lo Stato islamico, Ansar al sharia e il Consiglio dei mujaheddin di Bengasi. Questi gruppi controllavano metà della città e per farli sloggiare c’è voluta una battaglia che è durata tre anni e ha raso al suolo parecchi quartieri. In teoria lo Stato islamico e gli altri gruppi islamisti erano nemici per questioni ideologiche, sul fronte comune facevano finta di ignorarsi e combattevano assieme contro le milizie di Haftar. Dopo il generale ha assediato Derna, che era occupata da altri gruppi islamisti – incluse frange estreme –, e l’ha presa in un anno. Oggi entrambe le fazioni, assediati e assedianti, hanno credenziali antiterrorismo a posto.

 

C’è una complicazione. Durante la battaglia a Bengasi, da Misurata passavano con discrezione molti aiuti per i gruppi islamisti – ma non per lo Stato islamico – che combattevano contro Haftar, perché già allora c’era molta inimicizia. I superstiti di quei gruppi (di nuovo: non lo Stato islamico) potrebbero essere tentati di unirsi alla guerra civile che si combatte a Tripoli per riprendere di nuovo la loro battaglia personale contro Haftar. Questo ritorno alle armi è una delle ragioni per interrompere il prima possibile la guerra civile.

 

C’è poi la questione Fratellanza musulmana. Turchia e Qatar appoggiano il governo di Tripoli perché c’è affinità politica, sono tutti governi che si sentono vicini alla Fratellanza. Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti detestano la Fratellanza e Trump potrebbe inserirla nella lista dei gruppi terroristici. In Italia non siamo molto pronti a questo passo, il ministro dell’Interno Matteo Salvini s’è fatto fotografare in Qatar con un mitra, il premier Conte c’è appena stato, abbiamo affari in corso. Inoltre dire che se i nemici stanno con la Fratellanza allora Haftar comanda forze non islamiste sarebbe un errore. Molti dei suoi battaglioni sono formati da salafiti che hanno un’interpretazione rigidissima dell’islam.

 

E veniamo allo Stato islamico. Da quando è cominciata la guerra civile il gruppo più pericoloso ha fatto almeno sei attacchi, dopo mesi di silenzio. Questi raid sono stati tutti nel territorio controllato da Haftar, ma il motivo non è ideologico, è logistico: le truppe del generale devono controllare un deserto profondo dove si nascondono le bande dello Stato islamico, quelli di Tripoli invece devono controllare soltanto la capitale e la costa occidentale. I terroristi hanno già provato a infiltrarsi almeno tre volte a Tripoli negli ultimi due mesi per fare attacchi, secondo informazioni raccolte dal Foglio, ma sono stati scoperti. Lo Stato islamico nel suo odio è neutrale: vorrebbe prendere il posto di entrambe le fazioni e uccidere chi non si sottomette.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)