Un bambino esce assieme a una fila di donne dall'ultima enclave dello Stato Islamico in Siria, lo scorso marzo (foto Reuters)

Nella chat delle prigioniere Isis

Daniele Raineri

Il più grande campo per sfollati della Siria è una mini-replica dello Stato islamico, ma senza uomini. Crescono futuri jihadisti, messaggiano e aspettano la rivincita

A un certo punto lo Stato islamico ha cominciato a perdere sempre più territorio e a rimpicciolirsi, pur continuando a combattere e a tentare sortite molto pericolose. Questo processo è durato un paio di anni e quando si è concluso il gruppo terrorista era asserragliato in poche centinaia di metri quadrati in un paesello chiamato Baghouz, sulla riva dell’Eufrate. Decine di migliaia di irriducibili che avevano avuto mille occasioni di scappare decisero di restare fino all’ultimo, sempre più compressi fra le tende, le case, le auto e i bagagli che si erano portati dietro. Il caso, o forse una scelta deliberata, aveva fatto in modo che quell’ultima enclave fosse sul lato siriano del confine e non su quello iracheno e quindi il compito di dare l’ultimo assalto toccò alle forze curde, che come si sa trattano i prigionieri di guerra molto meglio di quanto non facciano gli altri. Quando le bombe degli aerei americani costrinsero alla resa i fanatici, i curdi con incredulità videro uscire ondate su ondate di persone che si consegnavano – pure con un certo ordine perché così era stato ordinato loro dagli emiri dello Stato islamico. I curdi e le forze speciali americane e inglesi sul posto presero da parte gli uomini e mandarono le donne e i bambini in tre campi di prigionia in attesa di decidere cosa fare.

 

Ad al Hol, che è stato creato dai curdi, ci sono settantamila persone, di cui ventimila donne e cinquantamila bambini

Il più grande di questi campi è di gran lunga al Hol. A gennaio conteneva diecimila persone. Dopo la capitolazione di Baghouz il numero è salito a settantamila, di cui ventimila donne e cinquantamila bambini. In pratica i curdi hanno trasferito lo Stato islamico, meno gli uomini, dentro una tendopoli con molti pochi servizi e circa quattrocento guardie. Non una di quelle divisioni dello Stato islamico che porta avanti la guerriglia in qualche angolo del mondo, come nel Sinai o in Afghanistan oppure in Niger, ma i resti dello Stato islamico centrale, quello che ha conosciuto i fasti del controllo territoriale pieno su milioni di persone, con scuole, tribunali, prigioni e anche il tentativo di un sistema monetario parallelo. Oggi il campo di al Hol è un microcosmo che riproduce quell’ordine, in assenza degli uomini. E neanche tanto micro. Pattuglie di donne tengono d’occhio gli abitanti e se vedono trasgressioni intervengono con durezza. Chi non porta il velo integrale, chi parla con i giornalisti occidentali, chi vuole farsi trasferire nel paese d’origine (e quindi vuole disertare), chi collabora con i curdi diventa il bersaglio della vendetta delle donne dello Stato islamico. Una ragazza azera è stata trovata morta con il collo spezzato. Un’altra donna è stata trovata morta con segni di frustate. Alcune tende sono state bruciate. Il mandato è chiaro: allevare i ragazzini con la dottrina dello Stato islamico, mantenere l’isolamento che garantisce protezione dall’influenza corruttrice dall’esterno, vivere nel ricordo dei mariti, padri e fratelli morti nei combattimenti oppure prigionieri oppure a piede libero ma per ora impotenti, e attendere che prima o poi lo Stato islamico ritorni di nuovo forte per unirsi di nuovo a esso.

 

Il Foglio ha avuto accesso a quattro canali telegram che le donne usano per scambiarsi messaggi sui telefonini – che in teoria non dovrebbero avere ma hanno contrabbandato all’interno del campo. I canali sono quattro, in arabo, in francese, in inglese e in turco, che sono le lingue più usate, e si chiamano tutti Kafal – che è una parola araba che vuol dire sponsor. Le donne in quanto parte dello Stato islamico avrebbero diritto a ricevere soldi – le kalafat, appunto, munificenze da uno sponsor. Il canale riunisce le donne che godono di questa sponsorizzazione, un po’ come al Qaida (“la base”) agli albori della sua storia fu un elenco di volontari che arrivavano in Afghanistan e avevano bisogno di aiuto. In corsivo alcuni di questi messaggi, tradotti in italiano.

 

#Avviso #Camp_Hol

L’intelligence qirbatiyya sta conducendo pattuglie semicontinue negli internet café del campo.

Pace, misericordia e benedizioni di Dio siano su di te

# Kafal #Fate circolare

 

Le donne si chiamano “sorelle” oppure “le monoteiste”. Le guardie curde sono gli “atei” oppure “qurbat”, gli zingari

Il contenuto è molto simile, in alcuni giorni identico, ai canali di propaganda dello Stato islamico. Le donne si chiamano ekwha e akhawat, sorella e sorelle, oppure muhawidat, le monoteiste, e per indicare le guardie curde usano la parola “atei” oppure “qurbat”, un termine dispregiativo per dire “zingari”. Nel messaggio tradotto qui sopra “l’intelligence qirbatiyyah” è “l’intelligence zingara”, quindi l’intelligence dei curdi. Le donne si scambiano una foto di qualche giorno fa che ritrae un paio di torrette d’osservazione: “Gli atei le hanno costruite ai margini del campo – è il commento – perché avevano troppa paura per piazzarle in mezzo al campo”. Cercano in ogni modo di evitare che le altre donne, quelle che non vorrebbero più far parte dello Stato islamico, quelle che si sono trovate in una situazione più grande di loro, quelle che sono lì soltanto perché la loro casa è stata distrutta dalla guerra, stabiliscano un rapporto con l’esterno.

 

La pace e la benedizione di Dio siano con voi

Una grande notizia e un orribile incidente

Oggi ho sentito una notizia dal campo

La figlia di una delle akhawat si è ammalata orribilmente. L’hanno portata a Saint Mar Jacob, l’ospedale cristiano.

I dottori maiali hanno gridato alla madre e le hanno preso la bambina. Le hanno detto che sua figlia è malata di cancro e che si è diffuso nella testa. Le hanno detto che avrebbero dovuto farle un rapido intervento chirurgico per fermare il cancro, altrimenti sarebbe diventata cieca e avrebbe potuto morire.

La madre ha chiesto loro di mandare la bambina all’estero per fare l’intervento, ma non c’è speranza che succeda. Hanno portato la bambina di 3 anni in sala operatoria con sua madre che urlava e urlava, ma a loro non importava.

La madre è tornata a casa e ha portato anche il padre della bambina in ospedale, ma di nuovo non hanno dato loro la figlia.

L’altro giorno, i genitori sono andati in ospedale per vedere la loro bambina, ma sono rimasti scioccati quando hanno dato loro la figlia morta e coperta.

Ha gridato e ha pianto, ma nulla cambierà la situazione di suo figlia... Era morta.

Sono tornati a casa per lavare la bambina prima di seppellirla. Quando l’hanno scoperta, sono rimasti di nuovo scioccati perché hanno scoperto che ha tre ferite cucite. Ma il cancro non dovrebbe avere ferite o punti.

I genitori hanno scoperto che la loro bambina non ha avuto il cancro o altro. I suoi organi sono stati rubati ed è stata uccisa per quello.

Questa è una delle tante storie vere che non conosciamo negli ospedali degli infedeli.

Hanno iniziato il commercio di organi dei bambini monoteisti e li uccidono prima che crescano e diventino come i loro padri.

Hanno anche tagliato alcuni dei ventri di akhawat che hanno fatto tagli cesarei.

Una storia molto triste che accade ogni giorno alle nostro akhawat e ai nostri figli lì.

Affidiamo loro ad Allah e gli chiediamo di avere misericordia di loro.

 

Ufficiali americani sentiti dal New York Times definiscono il campo di al Hol “un disastro in corso”. Tanto per fare un raffronto, gli iracheni prigionieri degli americani durante la guerra in Iraq al picco massimo erano ventottomila (la fonte è Nada Bakos nel suo libro “The Targeter”, uscito di recente). Gran parte degli estremisti era rinchiusa nel carcere militare di Camp Bucca, nel sud del paese, in piena zona sciita (quindi in territorio nemico) che divenne sotto il naso degli americani un’accademia di perfezionamento da cui uscirono i capi terroristi più pericolosi. Costretti a passare mesi, anche anni, a contatto con gli estremisti e isolati dal resto del mondo, pure i moltissimi prigionieri che quando erano stati presi non c’entravano nulla finivano per essere indottrinati e arruolati nel jihad. E quelli che facevano già parte del gruppo ne uscivano più forti di quando erano entrati, con più contatti, più determinazione, più progetti. Se Camp Bucca tra il 2004 e il 2011 ha prodotto la generazione più letale dello Stato islamico, il campo di al Hol cosa produrrà nel giro dei prossimi anni? Le donne si comportano come se avessero ricevuto il preciso mandato di allevare una leva di terroristi, mentre fuori il resto del medio oriente va avanti.

 

La pace e la benedizione di Dio siano con voi.

Felpe e scarpe sono state distribuite nel campo.

Contengono talismani e scritte che glorificano Satana, che Dio lo maledica.

Il suo nome è scritto sopra, chiaramente. Per favore fate attenzione perché quelle parole sono magia esplicita.

Per favore distruggete quelle felpe e quelle scarpe se le avete. 

 

Ci sono tanti agguati contro le guardie: vengono usati i coltelli che le ong avevano portato per le cucine da campo e che sono subito spariti

La parte più pericolosa del campo è il cosiddetto “Annex”, l’appendice, che contiene tremila donne e quattromila bambini che non sono di nazionalità siriana o irachena. Sono le volontarie che negli anni scorsi sono arrivate dai paesi ex sovietici, dai paesi del sud est asiatico, dagli stati arabi africani e in qualche caso dall’Europa. Per loro è difficile dire che si siano trovate nello Stato islamico senza saperlo, hanno fatto una scelta di vita e hanno intrapreso un viaggio per nulla banale per unirsi al gruppo. Le guardie non entrano nell’Annex se non in caso di necessità. Le donne velate dalla testa ai piedi tendono agguati con quello che hanno a disposizione, hanno causato molte fratture a una guardia, due le hanno accoltellate, usano i coltelli che un paio di ong bene intenzionate avevano portato per le cucine da campo e che sono subito spariti. 

 

Speriamo che le sorelle prigioniere siano molto attente, a causa delle continue ispezioni, ai telefoni e alle altre cose che possono causare danni [vuol dire: rivelare informazioni] e che tengano al sicuro le sorelle in condizioni speciali che sono con voi, perché dopo Allah non hanno che voi

 

Il fatto che il campo fosse stato progettato per contenere molte meno persone e che nessuno si aspettasse che dentro lo Stato islamico vivessero ancora così tanti volontari, pur nelle fasi finali della guerra, era la ricetta per una catastrofe. Tra dicembre e agosto sono morti 306 bambini sotto i cinque anni per le condizioni orrende. E’ una cifra alta, ma come si è visto la collaborazione con “i dottori maiali” negli ospedali all’esterno del campo – maiali è la cosa più sporca che viene in mente in una conversazione araba – è molto scoraggiata. L’inverno nella Siria orientale è rigido e l’estate è torrida. Il campo è stato costruito non su un piano perfetto, alcuni tubi delle fogne si sono rotti e il contenuto cola nelle file di tende e ancor più grave contamina l’acqua potabile. Volontari esterni hanno visto larve nell’acqua e donne e bambini con infezioni vistose. Il marchio dello Stato islamico che aleggia sul campo rende ogni campagna umanitaria persa in partenza.

 

(27 agosto)

Stasera le richieste di registrazione saranno interrotte, per organizzarci e dividere i fondi per loro.

Ci scusiamo perché dopo questo pagamento ci fermeremo per un periodo lungo perché ci sono ragioni speciali. Ci scusiamo perché non abbiamo accolto le richieste delle sorelle che vivono fuori da al Hol. Ricordiamo che questo progetto è fatto per aiutare le sorelle che vivono nel campo di al Hol e che non hanno nessuno che le aiuti.

 

Dicono: “Pensate di averci imprigionato in questo campo marcio. Ma siamo una bomba a tempo. Aspettate e vedrete”

Alcune delle donne sentite da un’inviata del Washington Post hanno detto di non essere più “vere credenti”, quindi fanatiche, e altre hanno detto di non esserlo mai state ma di essere state costrette dai mariti radicalizzati a seguirli nello Stato islamico. Ma è evidente che per molte altre non è così. Alcune gridano davanti alle telecamere che entrano nel campo gli slogan dello stato islamico, come “baqiya”, che vuol dire “continuerà a esistere”, e parlano del “nostro comandante” Abu Bakr al Baghdadi. Una è stata fotografata mentre fa un occidentalissimo gesto dell’ombrello. A luglio però, sempre sui canali telegram, hanno messo un video girato all’interno del campo davanti a una bandiera dello Stato islamico che hanno cucito loro. Protette dal velo chiedono ai “fratelli” di “accendere il fuoco del jihad e di liberarci dalle prigioni”. E “ai nemici di Dio” dicono: “Noi, le donne dei mujaheddin, vi diciamo: pensate di averci imprigionato in questo campo marcio. Ma siamo una bomba a tempo. Aspettate e vedrete”. 

 

#Ultime notizie #Campo di al Hol

Gli zingari atei intendono trasferire le sorelle di origine olandese dal campo di al Hol al campo di al Rouj, come preludio a un processo e per spedirle ai tribunali dei rafidi [un termine dispregiativo per indicare le corti irachene] oppure ai tiranni dei loro paesi.

Allah mi basta perché Lui sa come disporre meglio le cose 

 

In effetti la nascita dello Stato islamico come l’abbiamo conosciuto può essere datata tra il mese di Ramadan del 2012 e il Ramadan del 2013, quando gli uomini di Baghdadi eseguirono una campagna lunga un anno di assalti alle prigioni irachene – si chiamava “Sfondare le mura” – per liberare i loro compagni e rafforzare i loro ranghi. La campagna culminò nel luglio 2013 con un attacco alla prigione di Abu Ghraib, che qualche anno prima era diventata molto conosciuta per lo scandalo delle torture americane, che liberò centinaia di estremisti. I liberati erano veterani del jihad, o comunque erano molto indottrinati, e divennero la spina dorsale del gruppo – celebrati in molti video. C’è da scommettere che lo Stato islamico abbia messo da tempo gli occhi su al Hol, perché liberare le donne sarebbe un colpo di propaganda spettacolare, ma che sia trattenuto dalla difficoltà logistica: come e dove le sposti migliaia di donne con i loro bambini, senza farti scoprire? Ma soprattutto, che ragione c’è di farlo? Sono isolate dal resto del mondo, hanno replicato i meccanismi dello Stato islamico nella tendopoli, ricevono vitto e vestiti. I fanatici in libertà che scorrazzano ancora nelle terre aride della Siria centrale sognano che prima o poi torneranno forti come prima e avranno i mezzi per riprendersi le famiglie.

 

Si dice che Abu Ubayda al Khawas non abbia riso per quarant’anni. Gli chiesero: “Perché non ridi mai?”. Rispose: “Come faccio a ridere quando anche un solo musulmano è prigioniero degli idolatri?”

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)