Sebastian Kurz (foto LaPresse)

Kurz ad alto rischio

Micol Flammini

Chi è Sebastian Kurz? L’abbiamo chiesto ai suoi biografi e abbiamo capito che il cancelliere austriaco non è un calcolatore, ma sfide e scommesse gli piacciono da morire

Togliamogli quell’aggettivo di dosso, Sebastian Kurz non è “enigmatico”. Togliamo di dosso lo spirito da temporeggiatore. Liberiamolo dal peso politico e anche morale di aver creato una coalizione per poi distruggerla. Chi su di lui ha scritto molto non vede strategie o progetti a lungo termine, vede il rischio e anche l’avventatezza di un giovane che in fretta si è ritrovato prima ministro degli Esteri, poi leader dei popolari dell’Övp, poi cancelliere d’Austria e ancora chissà cosa in futuro. Kurz ha trentatré anni e di primati alla sua età ne ha già avuti molti. Saranno le speranze, saranno le aspettative o anche il solito complesso per l’erba del vicino, ma quella strana coalizione che il cancelliere aveva formato per governare assieme all’estrema destra dell’Fpö sembrava un prodotto pericoloso, ma di successo. Kurz portava avanti i suoi interessi, dava qualche colpo di stiletto ai compagni, ogni tanto si abbandonava a una sparata populista per non abbandonare nemmeno gli spiriti più grossolani, e riusciva a far vedere, almeno all’estero, che comunque colui che decideva le sorti dell’Austria era lui: giovane, conservatore e convinto europeista. Ma poi venerdì, dopo il video in cui il vicecancelliere austriaco e leader dell’Fpö, Heinz-Christian Strache, ammetteva davanti a una telecamera e nel bel mezzo di una festa a Ibiza che era pronto ad accettare soldi russi in cambio di favori elettorali e di apprezzare oltre misura la ben orchestrata censura del primo ministro Viktor Orbán, anche Sebastian Kurz ha detto che così non sarebbe stato più possibile andare avanti e ha pronunciato un esasperato: “Quando è troppo è troppo”. Coalizione spaccata, elezioni a settembre. Su di lui sono state scritte delle biografie, genere che suona quasi smisurato se si pensa alla sua età. Barbara Tóth e Nina Horaczek hanno pubblicato un libro il cui titolo è una domanda, la stessa che un po’ tutti i giornalisti, analisti e commentatori si sono fatti e che, dopo la decisione di tornare al voto, continuano a porsi: “Sebastian Kurz èil nuovo bambino prodigio?” (Titolo in tedesco: Sebastian Kurz: Österreichs neues Wunderkind?). “No – risponde al Foglio Barbara Tóth – non è un Wunderkind, rappresenta anzi la caduta del bambino prodigio. Diceva di voler garantire la stabilità per l’Austria e invece dopo due anni soltanto andremo di nuovo a votare”. La pretesa era quella, Kurz desiderava essere il Wunderkind, il bambino prodigio, quando da leader dell’Övp aveva rotto l’alleanza con l’Spö, voleva interrompere la tradizione delle coalizioni tra conservatori e socialdemocratici e portò il paese a elezioni anticipate.

 

  

Barbara Tóth: “E’ un populista di destra con la faccia da angelo. Non ha un’ideologia forte, fa quel che crede possa farlo vincere”

Paul Ronzheimer invece è l’autore di “Sebastian Kurz: Die Biografie”, la prima biografia dedicata al cancelliere da quando è in carica. Ronzheimer all’idea del Wunderkind ci aveva creduto e in parte ci crede ancora: “All’inizio lo era, quando sfidava Angela Merkel, quando si impuntò per la chiusura delle rotta balcanica”. Era testardo, determinato e quel che venne dopo le ospitate in televisione, quando anche in Germania lo invitavano a parlare male dell’accoglienza merkeliana, quel che venne dopo la vittoria alle elezioni del 2017, erano parsi i tentativi riusciti di avvicinarsi a un partito di estrema destra, approfittarsi dei suoi numeri per governare, e poi mantenerlo in silenzio come se non esistesse. Ma sin dall’inizio quest’alleanza gli ha causato non pochi imbarazzi: “Usciva uno scandalo a settimana”, racconta Ronzheimer. Gli errori di quella coalizione erano evidenti per molti e secondo Barbara Tóth quello di Kurz è stato un calcolo sbagliato: “L’Austria ha mostrato cosa accade quando cerchi di portare avanti un’impresa del genere, siamo diventati un piccolo laboratorio d’Europa. I barbari possono essere romanizzati per un periodo breve, ma alla fine arriva il fallimento di queste coalizioni, di solito per corruzione”. Il fallimento a Vienna è arrivato sabato scorso, a una settimana dal voto delle elezioni europee. Venerdì sera lo Spiegel e il Süddeutsche Zeitung, quotidiani tedeschi, hanno fatto uscire il video che incriminava Strache, il giorno dopo Strache si è dimesso, Kurz in conferenza stampa non sembrava né turbato né preoccupato, sembrava piuttosto frettoloso di liberarsi della parte del governo che lo metteva in imbarazzo, dei razzisti, degli antisemiti, dei corrotti, di quelli che rinchiusi in una casa da vacanze a Ibiza e davanti a una bellissima ragazza sedicente russa, sedicente nipote di oligarca, sedicente vicina a Putin, si lasciano sfuggire l’indicibile. A Vienna nessuno è rimasto stupito da quelle immagini, da quelle parole e dall’incuria: “Il cancelliere ha sottostimato di molto la personalità di Strache – era nota a tutti la sua passione per certe feste – e ha sottostimato la sua mancanza di professionalità”, dice la Tóth che definisce Kurz un “un populista di destra con faccia da angelo”, una creatura politica che avrebbe potuto prendere parte all’evento di Milano in Piazza Duomo.

 

Paul Ronzheimer: “Il fatto che sia giovane non c’entra nulla, ha molta esperienza, non aveva alternative alla coalizione con l’Fpö”

Eppure le parole e i risultati dicono altro, “è senza dubbio un conservatore, ma non ha nulla a che vedere con Salvini – dice al Foglio Ronzheimer – è davvero un europeista, il suo problema sono le alleanze. Sapeva con chi stava al governo ma non avrebbe potuto fare altrimenti”. Il Wunderkind ormai è caduto, alle spalle ha i prodigi e davanti una stagione di scommesse: “Ci sono questioni ideologiche e politiche che uniscono l’Övp e l’Fpö – dice il giornalista della Bild – Kurz ha avuto sin dall’inizio problemi con le persone che fanno parte di quel partito, ora ha deciso di rompere la coalizione sicuramente dopo il voto sarà costretto a fare alleanza diverse”, probabilmente più tradizionali.

 

E’ stata una prova fallita, nessun progetto, nessuna strategia a lungo termine, un tentativo finito male. Sull’età di Sebastian Kurz circolano molte voci, suscita contraddizioni. Per Barbara Tóth se non fosse stato così giovane non avrebbe avuto questa propensione al rischio: “E’ il tipico prodotto della sua generazione, ma la cosa che per me conta è che è cresciuto negli anni in cui in Austria avevamo una coalizione Övp e Fpö al governo, questa esperienza deve essergli rimasta in mente”. Per Paul Ronzheimer l’età non conta nulla: “Kurz ha molta esperienza”. Cosa ne sarà di questo Wunderkind sempre meno prodigioso lo vedremo più in là, intanto continua a far parlare di sé e a dividere. Per Barbara Tóth ha commesso i tipici errori di chi non ha un’ideologia forte e va solo alla ricerca di voti. Per Paul Ronzheimer è un leader energico e potente. Ma su un punto sono d’accordo, l’enigma non c’entra, quel che lo guida è la propensione al rischio, il fascino delle scommesse.