Sebastian Kurz (Thierry Roge /LaPresse)

Perché Kurz cascherà in piedi

Daniel Mosseri

Lunedì il cancelliere austriaco affronta il voto di fiducia, ma due politologi sono convinti che lui rimane l'unico leader a disposizione

Berlino. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz rischia la poltrona nel voto di sfiducia di lunedì al Nationalrat, la camera bassa del Parlamento di Vienna. I numeri sono contro di lui e non è escluso che il 32enne leader del partito popolare (Övp) sia costretto a lasciare l’esecutivo dopo appena 17 mesi di governo in coalizione con l’ultradestra del Fpö, L’aritmetica parlamentare è contro di lui: su 183 seggi in Parlamento l’Övp ne controlla 61, l’opposizione socialdemocratica (Spö) 52, mentre l’Fpö ne ha 51.

 

Eppure il giovane Kurz appare destinato a cadere in piedi. Certo, in caso di sfiducia nessuno crede a un reincarico da parte del capo dello stato Alexander van der Bellen; più facile è immaginare la nascita di governo tecnico, “affidato magari all’ex capo dello Stato Heinz Fischer oppure all’ex commissario Ue all’Agricoltura Franz Fischler”, spiega al Foglio Martin Dolezal, politologo dell’Università di Salisburgo e dell’Institute for Advanced Studies (IHS) di Vienna.

 

Sfiducia o meno, le elezioni sono comunque vicine: le ha promesse a settembre van der Bellen dopo la crisi politica seguita all’esplosione dell’Ibizagate con cui è venuta a galla la voglia di bustarelle da una potenza straniera dell’ex vicecancelliere ed ex leader del Fpö Heinz-Christian Strache. “Kurz resta di gran lunga il leader politico più popolare nel paese”, riprende Dolezal, sottolineando che la sfiducia non è per nulla scontata. Un governo del presidente con ministri tecnici in Austria non si è mai visto, e per evitare incertezze “Van der Bellen preferirebbe che fosse Kurz a portare il paese al voto”.

 

Se l’aritmetica è contro di lui, la storia contemporanea è dalla sua parte: “Dal 1945 un voto di sfiducia non ha mai provocato la caduta in un cancelliere in carica”, ricorda ancora Dolezal. Gli ultimi segnali da Vienna sembrano dargli ragione: il piccolo partito di sinistra Jetzt che ha depositato la mozione di sfiducia ha gradito la nomina da parte di Kurz dei ministri tecnici scelti in sostituzione di quelli sovranisti dimissionari; e il capogruppo di Jetzt, Peter Pilz, ha spiegato che la mozione non è intesa contro l’intero governo ma solo contro il cancelliere.

 

Poiché il voto contrario del Fpö è dato per scontato, saranno i socialdemocratici a fare la differenza. L’Spö detesta Kurz e alcune misure approvate dal suo governo: su tutte, quella di sapore orbánista che permette agli imprenditori di allungare la settimana lavorativa fino a 60 ore.

 

Eppure né l’Spö né l’ultradestra possono tirare tanto la corda, osserva Peter Filzmaier, professore di Scienze politiche all’Università di Graz e direttore dell’Istituto viennese di analisi strategiche (Isa). “In termini di contenuti l’Fpö non può criticare Kurz, tanto più che i due partiti governano insieme in Alta Austria, uno dei più grande Länder nel paese”. Lo stesso si può dire dei socialisti, ben consapevoli che dopo le elezioni di settembre non hanno alternative a un governo di coalizione con lo stesso Kurz. Quest’ultimo, a sua volta, non ha interesse a mostrarsi troppo dialogante con la sinistra. Il suo obiettivo adesso è drenare quella quota del voto di destra in libera uscita dopo la terribile gaffe a Ibiza di Strache, sovranista troppo amico dei russi.

 

Difficile valutare quanti voti perderà il partito, “anche perché molti dei suoi elettori tendenzialmente euroscettici finiranno per astenersi alle europee”, prosegue Filzmaier. Alle politiche invece, gli austriaci votano in massa e se i duri e puri fra i sovranisti non cambieranno casacca “i più moderati del Fpö potrebbero scegliere i popolari: d’altronde sul fronte destro esistono solo due alternative”. Su un punto poi, i due politologi concordano: se socialdemocratici e populisti convergeranno in Parlamento conto Kurz, il cancelliere si presenterà agli austriaci come la vittima di un complotto fra partiti che guardano solo al risultato elettorale. E ne uscirà come l’unico leader che ha a cuore il destino dell’Austria.

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