Russia Today, l'emittente russa vicina al Cremlino (Foto LaPresse)

Un passato contro il Cremlino e un presente con Rt. La fine del sogno russo

Micol Flammini

La storia delle due giornaliste che si opponevano a Putin e che sono finite a lavorare per il canale filo-governativo

Roma. Aveva fatto discutere e arrabbiare la notizia che Maria Baronova, giornalista e attivista antiputiniana, dopo anni di opposizione e di manifestazioni si fosse ritrovata ad accettare una proposta di lavoro da Russia Today, il canale creato per volontà del Cremlino per diffondere la versione russa di ciò che accade nel mondo. Aveva fatto infuriare e indignare l’annuncio che Ekaterina Vinokurova, membro del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, dopo la Baronova avesse raggiunto anche lei i microfoni di Rt. Gli attivisti politici hanno voltato loro le spalle, Alexei Navalny pochi istanti dopo che la notizia del nuovo lavoro di Maria Baronova iniziava a diventare pubblica è stato il più rapido a commentare su Twitter: “La cosa che mi sorprende è che gli altri si sorprendano”.

 

I giornalisti hanno tentato di proteggere le loro colleghe, le hanno avvolte con i loro editoriali o coperte con i loro silenzi, consci del fatto che il panorama mediatico in Russia non offre molte alternative. Negli ultimi cinque o dieci anni le testate indipendenti si sono ridotte di numero e la nazione si sta trasformando in un deserto mediatico, in cui c’è soltanto una voce che si distingue con chiarezza ed è quella del Cremlino. E Maria Baronova era tra le giornaliste che più hanno tentato di opporsi a questa dinamica, che più hanno protestato o investigato, eppure è arrivata di fronte a un muro. Si è fermata e Russia Today ha bussato alla sua porta. Detenuta nel 2012 per aver partecipato alle manifestazioni contro il Cremlino in piazza Bolotnaya a Mosca a sostegno delle Pussy Riot, ha collaborato con Echo Moskvy, una radio di opposizione, con la televisione Dozhd, per la quale aveva fatto dei reportage dall’Ucraina, e negli ultimi anni era a capo della sezione moscovita della fondazione Open Russia che si batte per la democrazia.

 

Dopo la notizia ha dovuto chiarire il perché della sua decisione: prima, in un intervento al sito di informazione Meduza, ha spiegato che la sua attività l’aveva resa sgradita a diversi ambienti lavorativi e che per lei trovare un impiego era estremamente difficile. Dalla sua parte si è schierata Masha Gessen, giornalista americana di origine russa che a lei aveva anche dedicato un capitolo del suo ultimo libro “Il futuro è storia” (Sellerio).

 

Nel libro Maria era uno dei personaggi attraverso i quali la giornalista raccontava come il totalitarismo si fosse impossessato di nuovo della Russia, come la società di fosse ritrovata di nuovo legata a un sistema di governo che pensava finito per sempre. “Era il mio personaggio preferito”, spiega la Gessen in un articolo pubblicato sul New Yorker in cui confessa di aver tentato di capire la profondità di una scelta così complessa. “Non ho rimorsi di coscienza – le ha risposto su Facebook la Baronova – se non la paura di deludere le persone che per me contano”. Maria Baronova di formazione è un chimico, il giornalismo è arrivato dopo. Ha un figlio, è divorziata, è rimasta senza lavoro, “ho ricevuto più di venti rifiuti”, racconta alla Gessen. I soldi e le energie erano finiti da tempo, poi è arrivata Rt: “Mi hanno chiesto di unirmi a loro e fare qualcosa che so fare. A tutti piace essere trattati bene. Ho iniziato a sentirmi meglio per la prima volta da molti mesi”. La stessa cosa è successa a Ekaterina Vinokurova a qualche settimana di distanza.

 

I media indipendenti sono pochi, l’operazione del Cremlino è stata capillare, attenta, sistematica. Il motore di ricerca Yandex ha tentato di rendere l’azienda un rifugio per giornalisti, un’alternativa in cui in molti si sono ritrovati pur sapendo che non avrebbero davvero continuato a fare i giornalisti. La decisione di Baronova e Vinokurova racconta qualcosa in più della Russia e della sua società. Racconta la fine di un sogno. “Abbiamo un sogno, si leggeva venti anni fa sulla rivista Afisha (ex mensile culturale russo). Era il sogno di una Mosca in cui la gente beveva il caffè nei bar all’aperto e andava in bicicletta vestita alla moda”, scrive Ilya Klishin in un editoriale su Vedomosti. Poi anche il quotidiano Kommersant scrisse di avere un sogno, “era il sogno di una Russia in cui la gente potesse fare affari”, continua Klishin. Dopo la Perestrojka le riviste e i giornali avevano il sogno di diventare liberi e aperti. Trent’anni dopo questi sogni sono svaniti, ed è questo che raccontano le storie di Baronova e di Vinokurova. I russi, giornalisti e attivisti hanno capito che il sogno non c’è più e accettano la realtà. Conclude Klishin: “Nessuno ha un sogno adesso – non Yandex, i media indipendenti o i blogger di YouTube. I sogni sono svaniti”.

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