La lapide col volto di Putin a San Pietroburgo

L'opposizione macabra che desidera la morte dell'avversario fa male a tutti

Micol Flammini

Dalle lapidi con il volto di Putin ai soldati contro Corbyn

Roma. La morte come strumento di opposizione, o meglio intimidazione, non è mai efficace. E’ un messaggio muto e diretto, che non ha bisogno di parole, non le vuole, le rifiuta. Vladimir Putin non è morto, ma il suo volto è apparso su delle lapidi che sono apparse in Russia e non soltanto. Lapidi nere con il suo anno di nascita, 1952, e l’anno di morte, 2019, e sotto la scritta “ha tradito il popolo russo”. L’ultima delle lapidi è apparsa vicino alla cattedrale di Sant’Isacco di San Pietroburgo, su un prato, altre si erano viste in Tatarstan e nella regione di Kurgan, a Mosca e poi anche a Berlino e il gesto viene rivendicato da un un collettivo di attivisti, Agit Rossia, che sulle lapidi, in basso, lasciano anche la loro firma: @agit_ru. “Per aver passato leggi impopolari – scrivono su Twitter – per le menzogne constanti e la sua leadership abominevole Putin è morto per i cittadini della Russia”. Alcuni giornalisti scrivono che il gruppo nasce dagli ambienti universitari moscoviti, che dopo le ultime norme per limitare la libertà della rete e per proibire il dissenso online hanno dichiarato questa guerra silenziosa al Cremlino. Qualcuno la chiama performance, alcuni attivisti sono stati già arrestati, ma il gesto, eclatante, evocativo, manifesto, non sa di politica né di democrazia. Non è un gesto degno di un’opposizione che ha degli argomenti da usare contro un governo. Non è la prima volta in questi giorni che viene evocata la morte come mezzo di lotta, di sopraffazione dell’avversario, il gesto russo è venato di un romanticismo senza voce che senz’altro risponde anche allo stato della realtà di un paese che tardivamente sta capendo che gli stanno togliendo la democrazia, la grandezza e la dignità, ma esporre la morte del presidente russo, o augurarla, non alimenta il dibattito politico. Ne rivela il triste stato di disarmo, crea un clima senza aria, senza parole, di gesti che rispondono ai gesti.

 

In Venezuela, nazione che vive ormai da mesi in uno stato di minaccia e incertezza, gli uomini di Nicolás Maduro hanno detto che Juan Guaidó, nominato presidente dall’Assemblea nazionale democraticamente eletta, dovrà essere ucciso, augurandosi di poterlo giustiziare a fucilate mettendolo con le spalle al muro. Il Venezuela è un paese che vuole liberarsi di un regime, la figura di Guaidó porta con sé questo desiderio, e il regime non glielo permette. Si tiene stretto il potere, non sa come rispondere, come attrarre il popolo dalla sua parte e nell’ignoranza sta l’evocazione della morte, il suo augurio. E’ la fine della dialettica, il rituale macabro di vedere nella morte l’unico modo per sbarazzarsi di un avversario politico.

 

Non è una storia soltanto russa o venezuelana, non soltanto una storia di regimi, di ambienti soffocati dall’illibertà o esasperati dalla povertà. Anche in paesi in cui la stato della democrazia desta meno perplessità si verificano fatti simili, come il video dei soldati britannici che a Kabul si esercitano al poligono usando come bersaglio l’immagine del leader laburista Jeremy Corbyn. Il video girava ovunque, poi è stato rimosso dopo la condanna dei politici e dopo l’indagine avviata dal ministero della Difesa. “Sono scioccato”, ha detto Corbyn. Nel video i soldati prendono la mira, Corbyn ritratto su sfondo rosso attende i colpi. Il segretario alla Difesa Gavin Williamson ha definito il comportamento inaccettabile, ben lontano dagli standard “alti” che ci si aspetta dall’esercito.

 

Il caso russo è anche indice di un’impotenza, in questi anni l’opposizione non è mai stata in grado di alzarsi, non c’è mai stata un’opposizione e spesso i fenomeni che si producono, da Alexei Navalny alle Pussy Riot passando per questo nuovo gesto, mescolano la politica con la performance. Tutto su uno sfondo sociale che fa fatica a mostrare quali sono le sue scelte, le sue volontà. L’opposizione, ben lontana dai luoghi del potere, si esprime nelle strade o su internet e per essere vista, per essere ascoltata urla più forte. Ma la lapide, che da una parte esprimeva il desiderio che il putinismo arrivi alla fine e se necessario anche attraverso la morte del suo creatore (giustiziato da quella frase “ha tradito il popolo russo”) e dall’altra esprimeva il senso di abbandono del popolo russo che fatica a riconoscerlo come presidente e quindi per il popolo è morto, non è un gesto che aiuterà la Russia a venire fuori dal putinismo. Senza un’opposizione che sa parlare, la Russia si ritroverà sempre davanti la Russia, quella di sempre.