(Foto LaPresse)

Lo Stato islamico in Libia approfitta della guerra tra Haftar e Serraj

Daniele Raineri

La guerra civile vicino a Tripoli offre allo Stato islamico la chance per un revival insperato in Libia

New York. Puntuale come l’apparizione di animali in una discarica abusiva, lo Stato islamico in Libia approfitta della guerra attorno a Tripoli fra le due forze militari più grandi del paese – l’assortimento di combattenti che sta con il generale Khalifa Haftar e quello che sta con Fayez al Serraj, capo del cosiddetto governo di Accordo nazionale – per lanciare operazioni e regolare i conti dopo mesi di inattività. Lunedì alle undici e mezza di sera un gruppo di combattenti è entrato a bordo di tredici veicoli nelle strade di al Fuqaha, una piccola cittadina isolata nel centro desertico della Libia. Secondo quello che raccontano le fonti locali, gli uomini hanno tagliato i cavi del telefono e dell’elettricità, hanno ucciso il sindaco e il capo delle guardie municipali, hanno bruciato la casa del sindaco e la caserma delle guardie, hanno sequestrato un numero imprecisato di ostaggi e a mezzanotte e mezza, un’ora dopo, hanno lasciato il paese per sparire di nuovo nelle zone poco abitate in cui si nascondono. Dodici ore dopo su Telegram è arrivato il comunicato di rivendicazione da parte dello Stato islamico che non aggiunge molte informazioni, dice che i combattenti sono entrati alla ricerca di miliziani di Haftar e per vendicare le sconfitte patite in Siria. 

Il raid è avvenuto a sud di Sirte e si sa che da quando il gruppo terrorista è stato sconfitto alla fine del 2016 i sopravvissuti si sono spostati proprio in quella zona, braccati dai servizi di sicurezza delle milizie di Misurata (che stanno con Tripoli) e anche dai miliziani di Haftar. Ogni tanto abbandonano i loro nascondigli per operazioni veloci, a volte compiono attacchi a checkpoint isolati, in altre occasioni montano posti di blocco volanti che durano soltanto qualche decina di minuti ma mettono molta paura – controllano i documenti dei guidatori e se qualcuno lavora per il governo lo uccidono. Ma da quando sono stati sconfitti a Sirte, e dopo due bombardamenti catastrofici contro i loro campi nel deserto, i fanatici non sono riusciti a tornare al livello di pericolosità degli anni tra il 2014 e il 2016.

 

In teoria sono ancora guidati dal loro capo iracheno Abdul Qader al Najdi, ma non sono più attivi come prima – forse perché sono concentrati a sopravvivere – e da tempo compiono soltanto qualche attacco sporadico. Hanno una sola speranza di tornare in grande stile: una guerra civile che metta l’una contro l’altra le due fazioni che danno loro la caccia, che faccia finire il paese nel caos, faciliti la circolazione di uomini e armi e produca quel materiale umano – giovani rabbiosi, senza lavoro e con molta consuetudine con le armi – che poi finisce per arruolarsi nei gruppi estremisti. Ed è quello che sta succedendo adesso. Il fatto che Haftar abbia ordinato ai suoi di “liberare” Tripoli e che Serraj abbia risposto con un mandato di cattura contro Haftar e con la proclamazione di un’operazione di difesa che si chiama “il vulcano della rabbia” fa pensare che i due avversari dello Stato islamico in Libia saranno troppo occupati a farsi la guerra tra loro per continuare a fare la lotta al terrorismo – in un paese dove già di solito gli spazi sono immensi e molto difficili da controllare.

 

La spedizione notturna per punire le autorità di al Fuqaha è un classico delle operazioni dello Stato islamico, che punta come regola a eliminare gli oppositori locali e ci tiene molto ad avere sempre l’ultima parola. L’idea che vogliono trasmettere alla popolazione, non dissimile da quella di un clan mafioso di quartiere, è che non conviene mai mettersi con i loro nemici perché prima o poi arriverà sempre la rappresaglia. E quindi ora che il grosso delle forze militari – compresa quella dei voli di ricognizione americani – sono concentrate a Tripoli, seicentocinquanta chilometri a nord-ovest, ne hanno approfittato per colpire le autorità locali e portare via qualche ostaggio. Più avranno le mani libere e più potranno passare a operazioni più ambiziose e il problema non riguarda soltanto i libici. Due degli attentati più grandi in Europa – quello a Berlino e quello a Manchester – sono entrambi stati collegati a uomini dello Stato islamico in Libia, che hanno contribuito alla preparazione ed erano in contatto con gli attentatori. A metà marzo i soldati tunisini hanno ucciso due ricercati in una riserva naturale, mentre si preparavano a entrare in Libia – segno che già sapevano dove andare. Ci sono molte ragioni per fermare la guerra civile vicino a Tripoli, è meglio contare anche questa: è un ricostituente fortissimo per lo Stato islamico.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)