Francia, Emmanuel Macron e Theresa May al memoriale della Somme per il centenario della fine della Prima Guerra mondiale (foto LaPresse)

Il forum sulla pace di Macron per ricordarci che la governance globale è importante

Micol Flammini

La presenza di Putin e l’assenza di Trump al Paris Peace Forum, tra leader europei un po’ azzoppati, stanchi e preoccupati

Roma. Arriveranno più di sessanta leader da tutto il mondo a Parigi. Tutti eredi di quei capi di stato e di governo che cento anni fa cercavano di tirare i loro paesi fuori dal Primo conflitto mondiale. Sarà una commemorazione strana, non si ricorderanno le vittorie ma soltanto la comune sofferenza. Se ci sarà una cosa da celebrare sarà la pace e quegli ideali comuni, poi naufragati dopo venti anni, che avrebbero posto le basi per il mondo così come lo conosciamo ora. Macron dal suo palco vuole mandare un messaggio: se siamo qui a celebrare la pace, per i nazionalismi non c’è spazio. Eppure tra i leader ci saranno anche le due cariatidi del tempio del sovranismo, Donald Trump e Vladimir Putin, imbarazzati – forse – dal gran pasticcio del vertice tra i due presidenti, che poi per volontà di Trump non ci sarà.

 

I leader europei saranno tutti un po’ azzoppati, stanchi e preoccupati. Ci sarà Angela Merkel, che oggi andrà con il presidente francese a Rethondes, dove cento anni fa fu firmato l’armistizio che sul fronte occidentale pose fine alla guerra. Lei sarà il primo cancelliere a visitare il luogo che simboleggia la sconfitta del suo paese, e forse, a Berlino, qualcuno troverà il modo di rimproverarle anche questo. Ci sarà Theresa May, lei esponente di una nazione vittoriosa, scomoda in mezzo ai compagni europei che ha deciso di abbandonare. La Francia ha deciso di usare l’occasione per organizzare una conferenza di pace internazionale, che Macron intende trasformare in un evento annuale. Il Paris Peace Forum ha uno slogan equivoco, una tirata di orecchie per alcuni, un ammonimento per altri: “La pace è legata alla governance globale”. Il messaggio non deve essere piaciuto a Donald Trump, lui nemico dichiarato della governance globale sarà a Parigi, ma fuggirà via prima della conferenza. Gli Stati Uniti sono ormai il corpo estraneo dei consessi internazionali e lo saranno anche durante le commemorazioni di Parigi, dove si celebreranno quei valori che proprio loro hanno contribuito a fondare.

 

Al forum parteciperà invece Putin, pronto a farsi bello, a far notare la sua presenza nel posto in cui Macron vorrebbe assicurare che gli errori che portarono le potenze mondiali alla guerra del 1914 non si ripeteranno. Trump invece arriverà oggi, questa sera parteciperà a una cena con tutti i leader, domenica sarà davanti all’Arco di Trionfo, poi pranzerà, scapperà a una cerimonia in un cimitero americano nel sobborgo di Suresnes, e infine a casa. Il posto lasciato libero da Trump sulla scena internazionale verrà occupato, prima o poi. Tanti sono i pretendenti. Primo tra tutti Putin, che tentò l’impresa già quando il presidente americano annullò l’accordo con l’Iran. In quell’occasione si era proposto come mediatore tra gli interessi europei e quelli di Teheran. Erano volati da lui, a poche settimane di distanze, prima Merkel e poi Macron. Ma la Russia non è l’America e l’Europa – intrappolata dai suoi dubbi e dalle sue pulsioni – sa che non può trovare in Mosca quel faro che Washington ha sempre rappresentato.

    

Macron e Trump, scrive Gideon Rachman sul Financial Times, rappresentano i due modi di concepire le relazioni internazionali che si scontrarono già a Parigi cento anni fa, subito dopo la fine della guerra. Macron è l’erede dell’internazionalismo ambizioso, rappresentato da Woodrow Wilson che già sognava un nuovo ordine mondiale, una governance globale che ponesse fine a tutte le guerre, simile a quella che conosciamo oggi. Ma i piani di Wilson subirono una dura sconfitta negli Stati Uniti, quando il senatore Henry Cabot Lodge convinse tutti che gli Stati Uniti devono prima pensare agli Stati Uniti, che “l’internazionalismo è ripugnante”. Cento anni dopo, l’America ha un presidente che denuncia il globalismo e che grida “America first”. La Società delle Nazioni, sognata da Wilson, è andata avanti senza Wilson, e negli anni Trenta si rivelò incapace di agire contro le ambizioni del Giappone imperiale, della Germania nazista e dell’Italia fascista. L’errore più grande, all’indomani della Prima guerra mondiale, è stato fatto da chi seguiva le idee del senatore Lodge, un Trump di allora, e chissà cosa sarebbe successo senza il suo odio nei confronti della governance globale. La stessa che domani a Parigi verrà invece celebrata da Macron.