Albert Einstein (foto LaPresse)

Non bisogna essere Einstein per capire che Hitler non inventò l'antisemitismo

Antonio Gurrado

In una lettera del 1922 lo scienziato anticipava quello che sarebbe accaduto agli ebrei undici anni dopo. Perché il male nasce dai nostri pensieri inconfessabili. E quando è troppo tardi diamo la colpa al dittatore di turno che arriva a metterli in pratica 

Una lettera inedita di Einstein, datata agosto 1922, è stata appena svelata nel suo contenuto profetico: contiene oscuri presagi sulla sorte degli ebrei in Germania già undici anni prima dell’ascesa di Hitler al potere. La notizia della lettera, in concomitanza con la commemorazione della Notte dei Cristalli di ottant’anni fa, potrebbe indurre a due errori. Uno, pensare che Einstein fosse talmente intelligente da prevedere gli eventi con un buon decennio d’anticipo. Due, dare per scontato che in Germania e in Europa l’antisemitismo sia stato inventato da Hitler, che ne fu il rappresentante più sanguinario e folle. Una competenza storica anche superficiale basta a sapere che non è così. L’antisemitismo era radicato da secoli in Germania (e in Europa) e, mescolato ad astrusi principii di nazionalismo o eugenetica o supremazia teutonica, è rintracciabile in dosi minori anche in personaggi insospettabili e, se non altro, innocui. Nella lettera del 1922 dunque Einstein non faceva che cogliere dati di fatto presenti sotto gli occhi di tutti; mentre dal 1933 Hitler non fece che rendere tali dati di fatto accettabili al punto da costituire un programma politico criminale da applicare su vasta scala. Non bisogna essere Einstein, tuttavia, per capire che i nostri pensieri inconfessabili sono l’humus su cui prospera la malvagità; solo che preferiamo scaricarne la responsabilità, quando è troppo tardi, sul dittatore che arriva a metterli in pratica. Ecco, sarebbe il caso di capirlo prima che arrivi il prossimo.