Bibliothèque nationale de France, via Wikipedia

Tutti assieme cent'anni dopo la Prima guerra mondiale

Paola Peduzzi

A Parigi Macron celebra l’interesse collettivo europeo e la voglia fortissima di leader “sani di mente”

Vincitori e vinti della Prima guerra mondiale, tutti insieme a Parigi, per celebrare i cent’anni dalla fine del conflitto, quell’armistizio firmato su un vagone ferroviario nel bosco di Compiègne, alle 11 dell’11 novembre, che è l’undicesimo mese dell’anno. L’ospite, il presidente francese Emmanuel Macron, ha deciso di ricordare quel giorno senza la parata militare, ma con una commemorazione delle sofferenze del continente europeo di inizio Novecento. Di tutti gli europei, in difesa dell’interesse collettivo, la fine di una guerra, contro l’interesse nazionale, che in questo caso sarebbe orgoglio nazionale, orgoglio francese. La scelta di Macron è stata criticata, alcuni la vedono quasi come un tradimento del sacrificio francese, del coraggio e delle vittime francesi, ma il presidente in questo momento sente più forte l’esigenza di mostrare e celebrare un interesse collettivo, europeo, piuttosto che la grandeur sovrana: è la vittoria di un principio di pace e di pacificazione su pulsioni nazionalistiche distruttive. Ogni momento di questo centesimo anniversario è pensato come un simbolo di quel che unisce ancora oggi noi europei, dopo quella guerra, dopo quella che è venuta vent’anni più tardi. Con un’attenzione alla storia, anzi quasi con “una modestia” nei confronti della storia, come la definisce l’Economist, perché “lo sciovinismo nazionale sopravvive nonostante la battaglia della Somme, l’antisemitismo sopravvive nonostante l’Olocausto”, non bisogna distrarsi mai.

 

In questi giorni sono stati pubblicati molti articoli sulle lezioni più attuali dell’armistizio di Compiègne, mentre arriva a Parigi un Donald Trump frettoloso – non si ferma alla conferenza sulla pace e sulla governance internazionale prevista per domenica, ed è ovvio: lui di multilateralismo non vuol sentir parlare – e gli europei si ritrovano spaccati sulla definizione stessa della loro identità e del loro progetto. Il riferimento storico che più ricorre oggi è quello degli anni Trenta: dove finiremo noi europei ammaccati del 2018? Il generale francese Foch, che a Versailles avrebbe imposto ai tedeschi condizioni ancora più dure di quelle di Compiègne, disse: “Questa non è una pace, è una tregua che durerà vent’anni”. Aveva ragione, nel 1940 Hitler ottenne la resa dei francesi nello stesso vagone, trasportato per l’occasione fuori dal museo, poi fece saltare per aria i monumenti di Compiègne: la vendetta. Il capo della delegazione tedesca di cent’anni fa era l’unico civile presente, si chiamava Matthias Erzberger, un liberale cattolico. Da Berlino gli telegrafarono: firma qualsiasi cosa, e così lui fece, mesto ma convinto, e quando allungò la mano al generale Foch, questi si rifiutò di stringergliela. Quell’armistizio fu per Erzberger l’inizio di una campagna di diffamazione brutale a suo danno, lui continuò a imporre la sua visione liberale e pacifista ma si portò addosso il peso di quella che i tedeschi vissero come una profonda, imperdonabile umiliazione. Fu ucciso nell’agosto del 1921 da due giovani estremisti di destra nazionalisti mentre faceva una passeggiata nel bosco di Baden. Qualche tempo prima era uscito su un giornale un avvertimento: Erzberger è rotondo come un proiettile (un riferimento al suo essere in carne) ma non è “a prova di proiettile”, si può colpire. Come ha scritto lo storico Paul Fussell, “il Ventesimo secolo non avrebbe tollerato dei Matthias Erzberger. Erano civilizzati, ed erano sani di mente”. Cent’anni dopo Francia e Germania sono i due paesi che meno potrebbero farsi una guerra, ma il nostro secolo ha bisogno di Erzberger, di dare forza all’interesse collettivo che è molto di più della somma di interessi nazionali: senza distrarsi, senza dar alcunché per scontato.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi