Brett Kavanaugh davanti al Comitato giudiziario del Senato. Foto LaPresse

II duello supremo su Kavanaugh

Daniele Raineri

Fra tre giorni in America ci sarà un confronto tra presunto colpevole e vittima con conseguenze politiche enormi

Prologo. Nell’agosto 2010 Steve Bannon, che sei anni dopo diventerà l’architetto della sua vittoria alle elezioni, va a trovare Donald Trump nella sua Trump Tower assieme a un altro attivista repubblicano. Vogliono convincerlo a candidarsi contro Obama, non ci riescono ma evidentemente piantano il seme nella sua testa. “C’è un problema – gli dicono – è che nessuno ha mai vinto le primarie repubblicane senza essere un pro life. E sfortunatamente tu sei molto pro choice”. “Cosa significa?”, chiede lui. “Hai fatto donazioni a quelli dell’aborto. Hai fatto dichiarazioni. Devi essere pro-life, contro l’aborto”. “Io sono contro l’aborto – risponde Trump – sono un pro life”. “Ok, ma c’è un registro pubblico di quello che hai fatto”. “Possiamo rimediare. Ditemi come si fa a rimediare. Io sono un – come avete detto che si dice? Pro life. Vi dico che sono un pro life”.

  

Trump si faceva sculacciare da una pornostar, ma non importa perché può modellare la Corte Suprema per i decenni a venire

“Sono un pro life”, proclamerà il candidato Trump nell’ottobre 2016 a un dibattito televisivo trasmesso in diretta in tutto il paese. “Se sarò eletto la decisione della Corte Suprema sul caso Roe vs Wade” che legalizza l’aborto in America “sarà rovesciata in modo automatico grazie ai giudici che nominerò”. Da presidente ha mantenuto la linea: sta nominando giudici conservatori giovani alle corti federali, ha creato una Divisione per la Coscienza e la Libertà religiosa al ministero della Sanità che si occupa di proteggere i medici obiettori di coscienza e cancella le decisioni in senso opposto del suo predecessore Obama, è stato il primo presidente a mandare un messaggio video in diretta dal giardino delle rose della Casa Bianca alla Marcia per la vita, ha riportato in vigore la cosiddetta “politica di Città del Messico” che vieta di donare aiuti a enti stranieri che promuovono l’aborto e la sua Amministrazione sta studiando leggi sulla contraccezione più restrittive. Questa linea è il motivo per cui la stragrande maggioranza delle associazioni religiose e conservatrici chiude un occhio sulle sue vicende personali. Trump si sarà pure fatto sculacciare a letto con una copia di Time da una pornostar dieci anni fa e avrà pure tradito la terza moglie con una modella di Playboy poi pagata per tacere (ed è probabile che non sappiamo altre mille cose), ma i conservatori guardano all’orizzonte futuro: il presidente potrebbe cambiare l’orientamento dell’America in materie a cui loro tengono molto per i prossimi decenni mettendo gli uomini giusti nei posti giusti. La nomina più importante è quella del prossimo giudice alla Corte Suprema, che farà cambiare la maggioranza interna e la farà pendere verso i conservatori. Il nome scelto da Trump è Brett Kavanaugh, di 52 anni, e qui finisce il prologo.

   

Tre giorni fa era in programma la seduta della Commissione Giustizia del Senato che avrebbe dovuto confermare la nomina di Kavanaugh alla Corte Suprema. La nomina non è definitiva, vale come raccomandazione per il voto del Senato – ma di solito e nei fatti è l’anticipazione del voto generale. Nel fine settimana però una professoressa universitaria di 51 anni che insegna a Palo Alto, in California, Christine Blasey Ford, ha raccontato al Washington Post che quando lei aveva quindici anni un diciassettenne Brett Kavanaugh molto ubriaco aveva tentato di stuprarla durante un party in piscina. L’aveva chiusa in una camera assieme a un amico, l’aveva immobilizzata e aveva tentato di strapparle il costume. “Temevo che mi potesse uccidere – ha detto la Ford –perché mi teneva una mano in faccia per impedirmi di urlare e io stavo soffocando”. Kavanaugh non riuscì a vincere la resistenza della ragazzina. Nel 2012 la donna, durante una seduta di terapia assieme al marito, parlò di quell’episodio e ci sono le note scritte del terapista – quando ancora Kavanaugh non era il prescelto per diventare il giudice messo da Trump alla Corte Suprema e questo esclude che sia un episodio inventato ad arte per affondarlo. I repubblicani hanno la maggioranza in Commissione Giustizia, undici a dieci, ma domenica un senatore repubblicano che non si ricandiderà e quindi non ha nulla da perdere, Jeff Flake, ha fermato tutto e ha detto che non si può votare la nomina finché la faccenda non sarà chiarita. Il risultato è che lunedì prossimo – alle quattro di pomeriggio ora italiana – Kavanaugh e Ford saranno ascoltati dalla Commissione. Ford è molto titubante sul fatto di deporre pubblicamente, quindi in diretta tv davanti a tutto il paese, ma è chiaro che se accettasse di farlo la sua testimonianza acquisirebbe un peso molto più forte – e non sarebbe filtrata dai senatori. Ha chiesto un’indagine dell’Fbi per provare che dice il vero, ma non l’avrà.

   

Nominato al posto più prestigioso della nazione ma accusato di un tentato stupro 36 anni fa. La tempesta perfetta #metoo

Dal punto di vista politico, la doppia deposizione di lunedì è come il Super Bowl, l’evento sportivo più atteso dell’anno. I repubblicani sono vicini al coronamento del loro obiettivo, piazzare un loro uomo alla Corte Suprema che prenderà decisioni che diventeranno giurisprudenza per i decenni a venire. Kavanaugh ha appena 52 anni ed è stato scelto per Trump da Leonard Leo, che è l’uomo dei movimenti conservatori che sta trasformando la Corte Suprema e in questi anni ha fatto campagne vittoriose per piazzare sui banchi della Corte più importante del paese i giudici Clarence Thomas, Samuel Alito e Neil Gorsuch. I democratici vedono l’occasione per infliggere a Trump un trauma – il suo prescelto respinto per indegnità – a poco più di quaranta giorni dalle elezioni di metà mandato, dove tutti i sondaggi li danno per favoriti alla Camera e persino con qualche chance, non grande, di conquistare la maggioranza al Senato. Se le deposizioni non fossero definitive, la vicenda si trascinerebbe proprio sotto la data del voto. Sarebbe un doppio colpo per un partito che due anni fa era moribondo dopo la sconfitta di Hillary Clinton. Un commentatore conservatore del New York Times, Ross Douthat, dice che a questo punto i repubblicani farebbero meglio a ritirare la candidatura di Kavanaugh, sul quale penderà sempre l’ombra del sospetto, e presentare invece la candidatura di una donna conservatrice: con le stesse idee ma più palatabile. Lui, il giudice, per ora nega tutto e questo rovina lo schema di chi per proteggerlo sostiene che quello che facciamo a diciassette anni da ubriachi non è per forza indicativo di come saremo nell’età adulta. Ha fatto circolare una lista con i nomi di sessantacinque donne della sua scuola che lo definiscono una brava persona. Ma due giorni fa è saltata fuori una ex compagna di classe per dire che quello che dice la Ford è tutto vero.  

  

C’è molto di più della questione politica. Da ottobre dell’anno scorso le storie di violenze e molestie contro le donne sono diventate parte di un movimento generale di rivendicazione, il #metoo, che sta facendo saltare teste in ogni settore, da Hollywood alla tv al giornalismo alla politica. Il vecchio schema in cui prima si perdevano queste accuse e che gli americani chiamano “he said, she said” – lui ha detto che, lei ha detto che – per rappresentare l’impossibilità di decidere a partire soltanto da quello che dicono i diretti interessati non funziona più. Se non sei in modo inequivocabile al di sopra dei fatti, allora vai a fondo. Uno degli aspetti interessanti del movimento, tra gli altri, è che vuole recuperare il tempo perduto e riportare in superficie quello che è successo nei decenni passati. Non importa se all’epoca le molestie e le violenze erano condonate e se le vittime aveva molto più timore a uscire allo scoperto e a denunciare, è il messaggio del #metoo alle donne, potete farlo ora e le conseguenze saranno pesanti lo stesso. In questo contesto, un tentato stupro avvenuto 36 anni fa e la possibile colpevolezza di un giudice nominato alla Corte Suprema in attesa di conferma è la tempesta perfetta. A tal punto che l’Amministrazione Trump, da cui ci si aspettava una “reazione nucleare” come dicono i giornali e almeno un paio di tweet pesanti, per ora ha una posizione molto moderata e attendista, del tipo “vediamo che succede”. “Se ci sarà un ritardo, ci sarà un ritardo”, ha detto Trump. “Questa donna non deve essere ignorata e non deve essere insultata. Dev’essere ascoltata”, dice Kellyanne Conway – che ora è consigliere del presidente – su Foxnews. Così vicini al voto di metà mandato e con la possibilità di una deposizione credibile in tv non ci si può permettere di innervosire l’elettorato femminile, o anche soltanto le senatrici repubblicane dalle quali dovrà passare la conferma di Kavanaugh.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)