Donald Trump (foto LaPresse)

Cosa vede un elettore di Trump quando guarda un dibattito?

Paola Peduzzi
Secondo l'analisi di Rush Limbaugh, quel che secondo il prisma consueto sembra presidenziabilità, per il sostenitore del candidato repubblicano non è altro che la conferma di un modo di fare politica – di governare – vecchio e da ribaltare.

Okay, folks, parliamoci chiaro. Per la gente che ha guardato il primo dibattito elettorale tra Donald Trump e Hillary Clinton “attraverso il prisma consueto, attraverso lo standard applicato dai circoli dell’establishment”, Hillary ha stravinto, non c’è stata gara, lei è brava e lui non arriva in fondo ai due minuti di tempo con un discorso coerente. Ma il punto è: questo prisma è sbagliato, Trump ha cambiato tutto, ha scardinato il linguaggio della campagna elettorale e con esso anche la sua manifestazione più concreta, il duello del dibattito: continuare ad applicare questo schema impedisce di comprendere Trump e soprattutto l’elettorato di Trump.

 

Con queste parole Rush Limbaugh, conduttore radiofonico conservatore molto popolare, ha iniziato il suo commento al dibattito di lunedì che ha aperto la stagione dei confronti diretti tra il candidato repubblicano e la candidata democratica in vista delle presidenziali americane dell’8 novembre. Limbaugh – che di Trump è un sostenitore e che da ben prima dell’irruzione del trumpismo anima la “pancia” del conservatorismo americano, che non si riconosce in nessuna élite, nemmeno in quella del Gop – ha così spiegato qual è il prisma attraverso cui guarda il mondo, e questa tornata elettorale, l’elettore di Trump.

 

Ora, è opinione condivisa che Trump non abbia raggiunto, nel dibattito di lunedì, l’obiettivo che si era prefissato, o che la sua campagna aveva fatto trapelare: mostrarsi presidenziabile. Poi lui ha detto che era colpa del microfono, che è stato boicottato, che non ha usato tutte le armi a sua disposizione – vedi: gli amorazzi di Bill Clinton – per giustificare la sua scarsa performance, ma persino Rudy Giuliani, ex sindaco di New York in asse con Trump, ha detto: se i dibattiti vanno così, forse a Trump conviene saltare i prossimi due in programma. Ma questo è il prisma d’analisi consueto. E invece, come ha detto Hillary durante il dibattito, “tu Donald vivi nella tua realtà”.

 

Questa realtà non è la stessa in cui abbiamo visto come duellanti elettorali Barack Obama e Mitt Romney, o George W. Bush e John Kerry o Al Gore: loro erano politici di lungo corso, quando Trump è un nuovo arrivato, che ha scardinato il normale confronto politico. La realtà cui ha fatto riferimento Hillary è stata spiegata alla perfezione da Rush Limbaugh, ed è in qualche modo utile riportarla perché spiega quel che sembra inspiegabile, cioè il fatto che un candidato come Trump, che di presidenziabile ha poco (o quel che ha non riesce mai a tirarlo fuori), sia nei sondaggi quasi alla pari con Hillary. La realtà in cui vive Trump è quella del suo elettorato, e Rush la racconta in modo esatto.

 

“Gran parte delle persone che hanno visto il dibattito – ha detto Limbaugh – non lo guardava per vedere chi vinceva o chi perdeva. Queste persone interessate alle presidenziali non giudicano quel che hanno visto nel modo che utilizzano gli spindoctor o i commentatori in tv”. Limbaugh non ha la pretesa di essere compreso su questo punto, ma dice: “Quello che i commentatori non capiscono è Trump stesso: loro vedono Trump sulla difensiva quando i sostenitori di Trump lo vedono all’attacco. I suoi sostenitori vedono Trump difendersi in modi che il Partito repubblicano non conosce da molti anni. Vedono che Trump si erge a loro difesa. Vedono che Trump si erge contro Hillary e le ributta addosso le accuse: per i professionisti e gli insider della politica, Trump può sembrare sulla difensiva, ma per i suoi elettori lui è del tutto all’attacco”.

 

Limbaugh ricorda che a ogni confronto avvenuto durante le primarie, Trump è sempre sembrato perdente: il commentatore radiofonico non riesce quasi più a contare le volte in cui ha visto titoli del tipo Trump-potrà-mai-risollevarsi? puntualmente seguiti da vittorie nelle primarie. L’incomprensione è ancora attuale: “E’ quasi un anno ormai – dice Limbaugh – ma ancora nessuno è riuscito ad analizzare e capire la base di Trump, perché lo sostiene. Tutti continuano a non studiarla, a infilare Trump nel sistema che conoscono e in cui si trovano a loro agio, e asseriscono convinti che lui sarà un fallimento”.

 

“Bene, Trump non è uno che fa politica da 30 anni – dice Rush Limbaugh – non ha esperienza nel fare campagne elettorali o partecipare ai dibattiti, ma continua a essere giudicato come fosse Hillary Clinton, ed è qui l’errore fatale: considerarlo sempre sconfitto”.  Era ovvio che Hillary fosse proclamata vincitrice, dice Limbaugh, “ogni commentatore nei media tradizionali definisce Hillary secondo le proprie speranze, la più competente, la più accurata, tutte questioni che non valgono un piatto di fagioli per una grande porzione di persone in questo paese: non sappiamo quanto sia grande questa porzione, ma lo scopriremo soltanto l’8 novembre”, non prima. Quel che è certo secondo il conduttore radiofonico è che laddove il mainstream vede competenza, preparazione, studio, disciplina, compostezza, la “porzione” vede un robot: “Hillary è stata noiosa, robotica, all’inizio anche confusa, non capiva come si stava comportando Trump, si era programmata per un confronto diverso, nei primi 30 minuti stava aspettando il momento giusto per ripetere gli slogan che aveva memorizzato”.

 

Quel che secondo il prisma consueto sembra presidenziabilità, per l’elettore di Trump non è altro che la conferma di un modo di fare politica – di governare – vecchio e da ribaltare: non c’è competenza, c’è una lezioncina imparata a memoria e ripetuta “per la milionesima volta negli ultimi trent’anni”. “Hillary è esattamente quel che le persone non tollerano più – ha detto Limbaugh – Secondo la natura della politica di Washington, i politici non dicono quello che pensano, ma quello che suona bene. Non rivelano quello che sono veramente, non annunciano davvero quel che vogliono fare, non vanno mai nello specifico. In un dibattito cercano di ‘uccidere’ il loro rivale con la complicità del moderatore”, ma le persone che votano Trump vedono che il re è nudo, e non si fanno convincere dal robotismo.

 

Limbaugh affronta anche il tema degli elettori di Trump delusi perché il loro candidato non è stato abbastanza aggressivo e ha lasciato che Hillary rimanesse in piedi, quando si poteva farla crollare in ogni momento e con un’infinità di armi. Limbaugh in sintesi dice: questi elettori non abbandoneranno Trump perché non ha tirato fuori la questione di Bengasi o gli altri scandali che hanno caratterizzato la carriera di Hillary, perché sanno che la sceneggiatura del dibattito era stata scritta per favorire la Clinton e mettere in discussione Trump (e perché questo dibattito non ha spostato nemmeno un voto). Basti vedere la famigerata questione del “fact checking” in diretta che Hillary ha continuato a ripetere durante il dibattito: come sospettavamo già da un po’, più Hillary ripeteva “ah ah, i fact checkers si divertiranno con questo” più gli elettori di Trump si sentivano vittime di un complotto, o comunque di una prassi condivisa in cui il nuovo arrivato non era contemplato. I fatti non contano più. “Ora i commentatori sono lì seduti – dice Limbaugh – che sentenziano trionfanti: questa elezione è finita, che già pensano che Hillary sia vincente”, ma come già è accaduto nelle primarie, non è ripetendo di continuo che Trump non è eleggibile che i suoi sostenitori si tratterranno dal votarlo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi