Un momento del dibattito di questa notte sulla Cnn

Clinton vince il primo dibattito tv, Trump reagisce ma non basta

Due terzi degli spettatori, secondo la Cnn, pensano che la candidata democratica se la sia cavata assai meglio dello sfidante, ma il dato rilevante è che Hillary non è stata presa in contropiede, non è caduta, ha vacillato di rado e ha difeso il territorio con ordine e disciplina.

New York. Se è vero che i dibattiti presidenziali non si vincono, ma si possono soltanto perdere, ieri sera alla Hofstra University Hillary Clinton certamente non ha perso. Due terzi degli spettatori, secondo la Cnn, pensano che la candidata democratica se la sia cavata assai meglio dello sfidante, ma il dato rilevante è che Hillary non è stata presa in contropiede, non è caduta, ha vacillato di rado e ha difeso il territorio con ordine e disciplina.

 

Non è stata, per la verità, una sconfitta totale per Donald Trump, il quale è riuscito a tenere inserita la marcia presidenziale per una ventina di minuti e se l’è cavata in qualche frangente, ma per lo più è rimasto aggrappato alla solita logica confusionaria, alla sloganistica da stump speech e alla libera associazione di idee e parole che è efficace nella forma del comizio emotivo davanti agli ultrà, molto meno nel confronto a due con moderatore.

 

Alla fine dei novanta minuti, quando lui stesso è andato a fare il debriefing con i giornalisti, ha detto che gli hanno dato un microfono difettoso (“mi domando con quale intento”, ha detto, evocando un complotto ai suoi danni) e ha spiegato che non ha affondato il colpo sulle storie più torbide di Bill Clinton per “rispetto verso Chelsea”, che era presente in sala. Fra i tanti scambi rivelatori, uno ha offerto uno spaccato perfetto: all’ennesima accusa di Trump, Hillary con sarcasmo ha detto che “ho la sensazione che entro la fine della serata mi incolperà per qualunque cosa sia mai successa”. Lui ha colto l’occasione al volo: “E perché no?”.

 

 

La strategia di Trump consisteva nel reagire ad ogni stimolo, nel ritorcere e moltiplicare tutte le accuse possibili, ma spesso non è stato in grado di governare il meccanismo. Sul certificato di nascita ha cercato di riproporre la temeraria versione secondo cui è stata Hillary a inaugurare questo filone, ma “non le è riuscito di trovare il certificato, e quando mi sono coinvolto nella cosa non ho fallito”, mentre si è difeso dalle domande sul rifiuto di pubblicare la dichiarazione dei redditi con la solita storia del controllo dell’agenzia delle entrate, che impedirebbe il rilascio di documenti. Trump ha avuto qualche sussulto quando si è trovato a fare la sua cavalcata “law and order” per sistemare i drammatici problemi di sicurezza di un paese dove “afroamericani e ispanici vivono in un inferno”. “Cammini per la strada e ti sparano”, ha detto.

 

L’argomento che Trump sul quale è in grado di esprimersi più a lungo senza cadere nel canovaccio più usurato è quello sui trattati di libero scambio, anche perché Hillary è una mercatista che per ragioni politiche si ritrova a fare la battaglia contro il Tpp, l’are di libero scambio nel Pacifico. Era preparata, Hillary, almeno quanto i suoi consiglieri promettevano. Quattro giorni consecutivi di “mock debate” hanno dato brillantezza a una performance che ha affrontato con precisione da politico di lunghissimo corso, agghindata da qualche frecciata efficace: “Donald, lo che vivi in una realtà tutta tua”, ha detto quando lui lamentava racconti poco veritieri.

 

 

Oltre alla difesa, minuziosamente organizzata, su Libia, Nato, invasione dell’Iraq, sostenibilità del piano fiscale dell’avversario, rapporti con gli alleati, Hillary ha approntato alcune mosse di contrattacco efficaci, esposte con tono sicuro e scollata di spalle già trasformata in un meme. Ha rivangato, ad esempio, la fortuna ereditata su cui Donald ha costruito una farlocca epica dell’uomo che si è fatto da sé. Lester Holt della Nbc, stretto fra le richieste di fare da fact-checker in tempo reale e quelle di limitarsi a moderare, ha scelto la prudenza, incalzando Donald soltanto in alcune circostanze, e producendosi in un arbitraggio all’inglese quando le voci si sovrapponevano e le lame si incrociavano fuori dal protocollo.

 

I fact-checker tradizionali hanno lavorato fino a tarda notte per analizzare tutti gli episodi, e fra certificati di nascita, record di voto esibiti e contestati, ricostruzioni dei fatti e della storia dell’interpretazione dei medesimi, hanno trovato molto incongruenze nel campo di Trump. Si tratta, tuttavia, di affermazioni già fatte e già ampiamente contestate in altre sedi, cosa che fin qui non hanno impedito a Trump di conquistare la nomination repubblicana e di correre nei sondaggi verso Hillary. La sghemba logica di Trump, ormai dovrebbe essere chiaro, se ne infischia del fact-checking.

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