Proteste in Francia contro la riforma del lavoro (foto LaPresse)

Non c'entra il lavoro. La Francia è finita sulle barricate per una guerra ideologica tra sindacati

Emmanuel Martin
La nuova versione della legge “El Khomri” sui contratti aziendali è meno liberale di quanto si vorrebbe far credere. I retroscena della politicizzazione voluta dalla Cgt.

Dagli hooligan alla battaglia in strada contro la polizia, celebrata fino a qualche mese fa, passando per i blocchi delle raffinerie e scioperi a singhiozzo annunciati questa settimana nonostante l’inizio venerdì degli Europei di calcio, la situazione in Francia è diventata incomprensibile agli occhi di molti stranieri, e di molti francesi stessi. Questa reazione al progetto di riforma del mercato del lavoro del governo socialsita, che ha l’obiettivo di combattere la disoccupazione, non è eccessiva? La seconda versione della “legge El Khomri”, nei fatti, non è poi così “pro-capitale” come ci vorrebbero far credere, tanto che i rappresentanti degli imprenditori hanno persino chiesto un ritorno al testo originario. Alcuni parlamentari socialisti “dissenzienti”, per esempio, hanno inserito un emendamento, mantenuto dal governo, che impone ai proprietari di reti in franchising con più di 50 dipendenti di avviare “istanze di dialogo sociale”. Ma trasformare un franchisor (il produttore e rivenditore di beni o servizi, ndt) in un datore di lavoro qualunque, contrasta completamente con il concetto stesso di franchising, basato sulla flessibilità e l’indipendenza dei franchisee (colui che distribuisce beni o servizi, ndt).

 


Manifestazioni in Francia contro la “legge El Khomri” (foto LaPresse)


 

Il governo Valls ha anche mantenuto un emendamento sui licenziamenti che mira a “rimuovere la limitazione al territorio nazionale – presente nel testo originario della legge – del perimetro delle attività poste in essere per valutare le difficoltà economiche di un’azienda facente parte di un gruppo”. Queste due misure, probabilmente, non vanno nella giusta direzione. Come sottolineato, infatti, la scorsa settimana dal sondaggio sull’attrattività degli investimenti curato da Ernst & Young, la Francia è l’unico paese europeo ad aver conosciuto nel 2015 un calo degli investimenti internazionali in entrata (meno 2 per cento, contro il più 14 per cento della media europea). Il nuovo testo della legge prevede che la contrattazione a livello aziendale prevalga su quella di settore. Il sindacato più protestatario, la Confédération générale du travail (Cgt), rimane contrario, anche se questi accordi aziendali non sono propriamente una novità, e avranno semplicemente priorità rispetto agli accordi di settore. Per “compensare”, il governo ha stabilito che tali accordi dovranno comunque ricevere l’approvazione dei rappresentanti dei sindacati che hanno ottenuto almeno il 50 per cento dei voti alle ultime elezioni del consiglio di fabbrica, e non più il 30 per cento come previsto da una prima versione del testo legislativo.

 

In effetti, solo una parte dei sindacati, in particolare la Cgt, è contraria alla legge, che è invece sostenuta da altri, come la più grande Confédération française démocratique du travail (Cfdt), che ha parzialmente contribuito alla seconda versione del testo, e questo potrebbe spiegare la rabbia della radicale Cgt. Con un dilettantismo ormai tradizionale, il governo ha fondato la prima versione del testo essenzialmente su un report di tecnocrati, senza coinvolgere le parti sociali come avrebbe dovuto. Il risultato è stato un’improvvisa “riscrittura” del testo con la Cfdt, mentre la Cgt ha snobbato la riforma. Questo dunque è il vero punto: la politica dei sindacati. La Cgt negli ultimi anni ha perso il suo slancio, soprattutto a causa di diversi scandali e del relativo silenzio seguito al fallito tentativo di rovesciare la riforma delle pensioni di Sarkozy nel 2010. La Cfdt ha una posizione più forte all’interno delle aziende, e la nuova legge, conferendo un maggior peso alla contrattazione aziendale, le darebbe un ulteriore vantaggio competitivo rispetto alla Cgt.

 


(foto LaPresse)


 

La Cgt ha dunque bisogno di riunire le sue truppe, traendo vantaggio da diversi fattori. Innanzitutto dalla scarsa popolarità della coppia Valls-Hollande che è ai minimi storici. Con questo malcontento dei francesi, la riforma del lavoro non fa che cristallizzare l’opposizione al governo, a prescindere dai contenuti della legge, e la Cgt capitalizza questa rabbia. Il presidente della Repubblica, François Hollande, ha poi mandato un segnale di debolezza, arrendendosi immediatamente di fronte allo sciopero dei camionisti a maggio per il pagamento degli straordinari. La Cgt ha colto l’opportunità e, con gli europei di calcio in arrivo in Francia, il sindacato ha un’altra possibilità d’oro per alzare ulteriormente il livello di scontro. La “strategia dei blocchi” della Cgt non riguarda la difesa degli interessi dei lavoratori contro la legge, che in realtà ha ben pochi contenuti “pro-capitale”. Il sindacato cerca per lo più di migliorare la sua immagine tra i propri membri, i lavoratori e i francesi, strumentalizzando la generale esasperazione nei confronti di Hollande, che intanto continua a dire che “le cose si sistemeranno”. La Cgt negli scorsi giorni ha persino censurato, con uno “sciopero della stampa”, i giornali che non hanno accettato di dar voce ai loro messaggi. Blocchi e censure. Probabilmente per i sindacati francesi è davvero arrivato il momento di cambiare.

 

Emmanuel Martin è Research fellow presso il think-tank riformista Iref, con sede a Parigi

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