Il presidente francese François Hollande (foto LaPresse)

Per quanto ancora Hollande farà il thatcheriano?

David Carretta
Francia bloccata da otto giorni contro la riforma sul lavoro. Scricchiolano i ranghi del governo.

Bruxelles. All’ottava giornata di mobilitazione nazionale contro la riforma del lavoro, con la Francia semi paralizzata, il governo di François Hollande ieri ha mostrato i primi segnali di cedimento. Le manifestazioni hanno portato a scontri, feriti e arresti a Parigi e altre città. Migliaia di stazioni di servizio non hanno più benzina per lo stop delle raffinerie. Gli scioperi nelle centrali nucleari hanno provocato interruzioni di corrente. Una parte degli aerei è rimasto a terra, mentre treni e metropolitane hanno funzionato a servizio ridotto. I giornali non sono usciti perché la Cgt, che chiede il ritiro della “loi travail”, ha rifiutato di stampare i quotidiani che non hanno accettato di pubblicare un testo del suo leader, Philippe Martinez (tutti tranne il comunista Humanité). Ma tra una settimana, a pochi giorni dagli Europei di calcio, le cose rischiano di andare molto peggio con i sindacati del pubblico e para-pubblico che annunciano scioperi illimitati o quasi. La “loi travail” è una versione modesta del Jobs Act, il cui impianto originale è già stato annacquato, ma mantenendo l’articolo 2 che da più spazio alla contrattazione interna alle imprese. Eppure è riuscita a innescare questa rivolta sindacale. Finora il premier Manuel Valls ha mantenuto la linea dura: “Mé ritiro né rimessa in discussione dell’articolo 2”. Ma il ministro delle Finanze, Michel Sapin, ieri ha rotto i ranghi. “Forse sarà necessario toccare all’articolo 2” su alcuni “punti”. “Non si toccherà l’articolo 2”, ha risposto secco Valls.

 


In Francia non si placano le proteste contro la riforma del lavoro (foto LaPresse)


 

Come altri presidenti prima di lui – Jacques Chirac nel 1995 e nel 2006, Nicolas Sarkozy nel 2010 – Hollande si trova con una mobilitazione contro una riforma che gli permette di presentarsi all’opinione pubblica come un Thatcher, pronto a prendere a borsettate i custodi dello status quo che bloccano il paese. Martinez ha dato a Hollande l’occasione di fare quel che aveva già tentato invano con la svolta socialdemocratica del 2014 (Patto di responsabilità e governo Valls) o dopo gli attentati di Parigi del 2015 (stato d’emergenza e guerra allo Stato islamico): mostrarsi come un leader forte e deciso. L’occhio è puntato sulle presidenziali del 2017 e sull’elettorato moderato diventato essenziale per arrivare al secondo turno, ora che quello popolare diserta la sinistra per il Front national. A Parigi circola persino voce che Hollande sia pronto a scaricare Valls per un governo riformista choc con Emmanuel Macron come premier. Nel frattempo, dal G7 in Giappone, il presidente ha fatto sapere che sostiene la posizione di Valls sulla “loi travail”: “Ciò che ha detto il primo ministro è ciò che occorreva dire”. Ma quanto durerà la versione thatcheriana di Hollande?

 

La storia offre alcuni suggerimenti, anche se contraddittori. Chirac indietreggiò nel 1995 sulla riforma delle pensioni di Alain Juppé, condannandosi a indietreggiare durante i suoi due mandati, fino al ritiro del Cpe (contratto di primo impiego) di Dominique de Villepin nel 2006. Nel 2010 Sarkozy affrontò di petto i sindacati, fece approvare di corsa l’aumento dell’età pensionabile da 60 a 62 anni, riuscendo così a sgonfiare la mobilitazione sindacale, ma senza garantirsi la rielezione un anno e mezzo dopo. A differenza di Sarkozy, Hollande non ha i voti per accelerare sulla “loi travail”: con una cinquantina di deputati socialisti frondisti, sarà costretto a bypassare nuovamente il voto dell’Assemblea nazionale grazie all’articolo 49.3 della Costituzione per farla passare a luglio. I giornali sono pieni di dichiarazioni off di ministri, sottosegretari e consiglieri nel panico perché la “loi travail” ha provocato una rivolta della base socialista. Il Monde sospetta che Hollande stia preparando “una via d’uscita” con un’ulteriore diluizione della riforma. Sapin è molto vicino al presidente. Anche Bruno Le Roux, capogruppo dei socialisti all’Assemblea, si è schierato a favore di modifiche all’articolo 2. Ma un cedimento confermerebbe che Hollande è quello di sempre: un tattico, senza convinzioni, buono solo a governare le contraddizioni dei socialisti francesi.