Francia, le proteste degli studenti contro la riforma del lavoro (foto LaPresse)

“Fate l'amore, non gli straordinari”. La risposta dei giovani francesi alla riforma sul lavoro

Paola Peduzzi
Davvero si può cambiare un paese, modernizzarlo, senza avere dalla propria parte il cuore dei giovani? E’ la domanda cui si trovano davanti i leader francesi, il tentennante Hollande e i più determinati Manuel Valls ed Emmanuel Macron, il premier e il (giovane) ministro dell’Economia.

Milano. Quando era candidato presidente di Francia, nel 2012, François Hollande ripeteva: “Priorità ai giovani”: ispirato dal suo “rassemblement” voleva creare un progetto che unisse le generazioni in un granitico patto di solidarietà. Mercoledì nelle variegate e giovanissime piazze che in tutta la Francia si sono riempite per manifestare contro la proposta di riforma del lavoro, risuonava uno slogan: “Hollande, t’es foutu, la jeunesse est dans la rue”, Hollande sei fottuto, i giovani sono per strada. Questo è soltanto “un avvertimento” titola Libération: i ragazzi si stanno organizzando, la settimana prossima sono previste altre proteste, per il 26 marzo, quando l’Assemblea nazionale discuterà il testo della “Loi travail”, il governo dovrà aver capito che “una gioventù rattristata è l’orrore più grave” che possa capitare a un paese.

 

La piazza francese ha il fascino irresistibile della storia, appena ci sono quattro ragazzi per strada la mente torna al maggio del ’68, alla rivoluzione con il naso all’insù (il Monde ci ha messo del suo, pubblicando ispirati ritratti fotografici in bianco e nero di giovani manifestanti piuttosto immusoniti). Ma i giovani che si sentono traditi dai progetti dei loro governanti stanno anche riempiendo i rally elettorali in America, soprattutto quelli dell’anziano socialista Bernie Sanders, che armato dei suoi “Bernie Bro” sta rendendo la vita complicatissima ai riformisti e ai moderati. Davvero si può cambiare un paese, modernizzarlo, senza avere dalla propria parte il cuore dei giovani? E’ la domanda cui si trovano davanti i leader francesi, il tentennante Hollande e i più determinati Manuel Valls ed Emmanuel Macron, il premier e il (giovane) ministro dell’Economia. Il presidente insiste sul dialogo, racconta il Monde, dice che bisogna “rispettare, ascoltare, comprendere”, soprattutto “evitare la rottura”: lui che vive di memoria storica si ricorda quel che è accaduto a Jacques Chirac nel 1986, a Michel Rocard nel 1990, a Edouard Balladur nel 1994, a Lionel Jospin nel 2000, a Dominique de Villepin nel 2005. Hanno tutti dovuto fare un passo indietro, non si sopravvive agli accessi di collera dei giovani, non in Francia almeno. Un deputato dell’ala radicale del Partito socialista dice: “Questo mandato non può fondarsi su un divorzio politico e fisico dalla gioventù. Sarebbe un suicidio”.

 

Tornare indietro non è però tra le opzioni considerate dai ministri coinvolti nella riforma, il già citato Macron e la ministra del Lavoro Myriam El Khomri. Non è nemmeno tra le opzioni dei numeri della Francia, che nonostante le tante seppur timide iniziative messe in campo in questi anni non riesce a invertire la rotta sulla disoccupazione e sulla flessibilità di un mercato del lavoro rigidissimo. Anzi, per i più liberali, la riforma proposta dalla El Khomri non è nemmeno tanto ambiziosa: molti insistono che i socialisti dovrebbero ispirarsi con più coraggio “all’esempio italiano” del Jobs Act di Matteo Renzi (si moltiplicano sui giornali francesi i dossier sull’esperienza italiana, come canovaccio da seguire). La collera dei giovani è un problema politico che non può essere ignorato, certo, perché i ragazzi per strada dicono minacciosi che saranno costretti a votare per la destra – anche per il Front national – se questa legge andrà avanti, perché è una riforma che nemmeno la destra si sarebbe mai sognata di fare (dicono che voterebbero Alain Juppé, un altro anzianotto molto popolare tra i giovani). Ma se poi si guardano le proteste da vicino, viene da pensare che la rottura sia inevitabile, se non addirittura necessaria. Perché gli slogan con cui i ragazzi colorano le loro proteste (ne stanno preparando di nuovi per l’appuntamento del 17 marzo) sono la sintesi di cliché conservativi che trattano la flessibilità come un sinonimo di precariato. Secondo i ragazzi questa è la legge del Medef, delle aziende, che avranno il potere di fare tutto quello che vogliono. Così i giovani gridano “Valls, siamo noi i tuoi padroni”, “Lavorare di più per morire prima” o l’inarrivabile “Fate l’amore, non gli straordinari”, senza accorgersi che nel paese in cui si lavora meno d’Europa il governo sta cercando di dare la possibilità alle aziende di creare più posti di lavoro. E’ il calcolo che vale per tutte le riforme del lavoro in cui si introduce flessibilità: fate l’amore, e anche gli straordinari.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi