Continuano in Francia le proteste sul lavoro (foto LaPresse)

La violenza anarchica che si è impossessata di Parigi è un sintomo inquietante

Sergio Soave
Il segnale che arriva dalla Francia, da qualunque parte si rigiri la situazione, è quello di una società ingovernabile. Non si tratta soltanto di un’insufficienza del governo, ma di qualcosa di più profondo: una tendenza generale a dare sfogo con la violenza a tutte le insoddisfazioni.

Da Parigi, dove si incrociano tensioni di carattere e origini diverse – dal riemergere sanguinoso del terrorismo islamico alle lotte sociali che tendono a degenerare in scontri di piazza, fino alle bravate delle tifoserie violente di mezza Europa – si diffonde una sensazione di insicurezza che non sembra destinata ad arrestarsi. Forse bisognerebbe distinguere i diversi fronti di crisi, analizzarli separatamente, per evitare l’effetto di risonanza determinato dalla loro simultaneità. Però il segnale che arriva dalla Francia, da qualunque parte si rigiri la situazione, è quello di una società ingovernabile. Non si tratta soltanto di un’insufficienza del governo nel fronteggiare le varie crisi (che pure esiste) ma di qualcosa di più profondo: una tendenza generale a dare sfogo con la violenza a tutte le insoddisfazioni, senza nessuna strategia avvertibile, ma solo per il prevalere di uno spirito disperato che mette tutti contro tutti. Il primo ministro Manuel Valls sembra arrendersi a questa deriva, invece di pronunciare le solite frasi rassicuranti sceglie di accentuare la tensione, prevedendo un’escalation terroristica che durerà anni. Sincerità o disperazione? Il clima sembra quello della nemesi della Quarta Repubblica, quando la società francese non seppe reggere la tensione della guerra di Algeria, si dilaniò in scontri e contese inconciliabili, fino a essere ricondotta alla ragione da Charles de Gaulle. Ma ora non c’è nessun eroe nazionale in grado di riafferrare le fila dell’identità nazionale: c’è solo, sullo sfondo, l’immagine di Marine Le Pen.

 

Il fatto che un sindacato di antica tradizione, come la Cgt – che in passato era famoso per la sua capacità di organizzare poderosi servizi d’ordine per evitare le infiltrazioni dell’estremismo gauchista nelle sue manifestazioni – ora faccia sfilare gente incappucciata e si vanti degli scontri con le forze dell’ordine dà la misura della mutazione profonda del clima. Il fatto poi che non ci si faccia scrupolo di mettere in scena atti di guerriglia urbana mentre Parigi è al centro di una strategia del terrore e ospita una manifestazione sportiva di eccezionale rilievo, significa che il tradizionale senso nazionale, un carattere distintivo dello spirito francese, è finito al macero. Tutto ciò accade in un quadro economico e sociale che non presenta particolari aspetti di drammaticità, pur nel permanere degli effetti depressivi della lunga crisi finanziaria internazionale. Quello che appare evidente è che la guerra retoricamente dichiarata – ma non combattuta – contro il terrorismo islamico non riesce a diventare il punto di concentrazione degli sforzi e ad assumere un senso davvero civile e nazionale. Quello che si è spezzato è il fronte interno: il cordoglio per le vittime del Bataclan si è concentrato sulla memoria dolente delle vite spezzate e della vita cittadina oltraggiata, ma non è mai entrato in sintonia con la lotta condotta dallo stato, né nel tentativo di bonifica delle cellule fondamentaliste disseminate nelle banlieue, né nelle iniziative militari all’estero – peraltro più volontaristiche che connesse a una strategia complessiva. Sembra che, invece della disciplina repubblicana, si sia aperta una stagione in cui ogni tensione, politica, sociale e persino sportiva, trova sbocco soltanto nella violenza anarchica.

 

Che cosa possa nascere da questo torbido brodo di coltura è difficile dirlo, ma sembra certo che non ne sortirà niente di buono. Quelli che continuano a dipingere l’Italia come un paria nel panorama internazionale dovrebbero riflettere sul fatto che, invece, il nostro paese gode di un invidiabile clima di pace sociale e di concordia nazionale, nel quale le tensioni e i contrasti politici hanno comunque il carattere fisiologico della competizione democratica, nonostante debba fronteggiare fenomeni epocali come le migrazioni di massa e disponga di un sistema dei poteri pubblici assai più farraginoso di quello francese.