Il primo ministro francese Manuel Valls tiene un discorso davanti all'Assamblea nazionale di Parigi (foto LaPresse)

Il riformista Valls non ha di nuovo i voti per le riforme

Mauro Zanon

Imposta la superfiducia del 49.3 al Jobs Act alla francese voluto dal governo socialista. L’ostruzionismo dell’ala giacobina del partito e le polemiche degli indignados di Nuit Debout.

Parigi. “Il Consiglio dei ministri ha autorizzato Manuel Valls a utilizzare il 49.3”. Sono le tre in punto quando l’Afp batte la notizia che viene a confermare quanto si vociferava in mattinata negli ambienti governativi: fallito l’ultimo tentativo di conciliazione con l’ala radicale del Partito socialista, il primo ministro ha deciso di far passare il testo della riforma del lavoro utilizzando nuovamente il meccanismo d’emergenza previsto dalla Costituzione che azzera gli emendamenti e il voto alla Camera. Come con la legge Macron sulle liberalizzazioni, l’esecutivo socialista chiederà dunque la fiducia per votare la malconcia Loi El Khormi – dal nome della ministra del Lavoro che l’ha difesa – bypassando il voto dei deputati dell’Assemblea nazionale ed evitando l’ostruzionismo dell’opposizione che aveva presentato più di cinquemila emendamenti. E’ la quarta volta che il governo francese ricorre a quello che i giacobini chiamano “schiaffo alla democrazia” e che per Valls invece è un “atto di efficacia”, un bagno di realismo necessario per una Francia in ritardo cronico con le riforme.

 

L’opposizione neogollista (Les Républicains) e il Front national hanno gioco facile nell’evidenziare le contraddizioni del governo, riesumando le dichiarazioni di Hollande del 2006 a proposito del 49.3, “una brutalità, una negazione della democrazia, una maniera per frenare o impedire il dibattito parlamentare”, disse allora il presidente della République. Ma è innegabile che Valls abbia tentato fino all’ultimo di trovare un compromesso con i frondisti, per votare un testo peraltro già abbastanza annacquato rispetto alla sua versione iniziale.

 


Proteste in Francia contro la riforma del lavoro (foto LaPresse)


 

Già venerdì scorso, l’inquilino di Matignon aveva espresso forte e chiara la sua “volontà di convincere” i detrattori della riforma del lavoro. Poi domenica, in un lungo intervento apparso sulla sua pagina Facebook, aveva ribadito con termini ancora più decisi di voler “costruire una maggioranza di sinistra sul testo di legge El Khomri” perché “c’è una via per un riformismo di sinistra”. Questa mattina, infine, ha aperto le porte di Matignon ai più oltranzisti, compreso il portabandiera dell’aile gauche, Christian Paul, per una riunione durante la quale ha provato a tendere la mano per trovare un compromesso. Ma non c’è stato niente da fare. E’ “un’ammissione di debolezza”, ha attaccato l’ex ministra della Cultura, Aurélie Filippetti, tra i capofila dei frondisti, “e per una legge che vuole ricostruire il dialogo sociale, l’ammissione di un fallimento”. “Una minoranza di socialisti tiene in ostaggio una maggioranza e le impedisce di avanzare”, le ha risposto Jean-Marie Le Guen, segretario di stato per le Relazioni con il Parlamento.

 

Del Jobs Act francese sottoposto al voto solenne il prossimo 17 maggio, è l’articolo 2 che ha creato le maggiori tensioni. Pare sia stato proprio il no secco di Valls a una modifica dell’articolo che mira a dare la priorità all’accordo d’impresa rispetto all’accordo di categoria nell’organizzazione del tempo di lavoro a provocare lo strappo definitivo tra governo e detrattori della riforma del lavoro, e a ostacolare così l’adesione delle “40 voci” mancanti per un’approvazione “normale” del testo legislativo. Tramite un comunicato su Facebook, gli indignados di Nuit Debout hanno annunciato un rassemblement di protesta davanti al Parlamento francese, per denunciare “l’imposizione con la forza” della riforma del Lavoro.

 

L’opposizione (Lr e Udi) presenterà una mozione di censura entro le prossime 24 ore, e ha invitato i frondisti e l’ultrasinistra di Jean-Luc Mélenchon a unirsi a loro per “destituire il governo”. Tuttavia, anche se Lr, Udi, Front de Gauche e frondisti del Ps votassero compatti per la mozione di censura, mancherebbero ancora trentasei voti per far cadere l’esecutivo. L’approvazione della Loi El Khomri metterebbe fine alla “gauche passatista”, aprendo un boulevard alla sinistra che sogna Valls: “pragmatica, riformista e repubblicana”.

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