L'arresto di Salah Abdeslam (foto LaPresse)

Abdeslam Salah, preferendo il processo in Francia, invia un segnale sinistro a noi

Alfredo Mantovano
Nonostante sia perseguito per reati di terrorismo e di armi in Belgio, l’autorità giudiziaria belga ne fa presagire la consegna alla Francia. Perchè il Belgio rinuncia all’esercizio della propria giurisdizione? E perchè il giovane terrorista desidera tale consegna?

"Abdeslam sarà estradato in Francia”. In questi termini qualche giorno fa i media hanno sintetizzato il probabile futuro destino giudiziario del terrorista sopravvissuto agli attentati del 13 novembre. Non ci si è posto il problema della correttezza dell’informazione né del perché, avendo Salah commesso gravi reati anche in Belgio, possa essere così rapidamente consegnato a Parigi.

 

Per tentare di capire, prendiamo le mosse dal termine “estradizione”: non è quello corretto. Come tutti dovrebbero sapere, il 13 giugno 2002 gli stati dell’Unione europea dell’epoca adottarono una decisione quadro – ratificata nei mesi successivi da ciascun sottoscrittore, e quindi da ogni nuovo aderente all’Ue – che ha introdotto per le relazioni giudiziarie fra i paesi europei uno strumento più agile dell’estradizione: il mandato di arresto europeo. Le differenze non sono lievi: nell’estradizione vi è una fase giudiziaria, al termine della quale il giudice della nazione nel cui territorio è stata rintracciata la persona ricercata da altro stato si pronuncia in senso favorevole o contrario alla consegna; e vi è una fase amministrativa: se l’autorità giudiziaria ha riconosciuto le condizioni per l’estradizione, la decisione ultima è del ministro della Giustizia, cioè del governo, la cui scelta ha un evidente tasso di discrezionalità politica.

 

La prima fase dura non meno di un anno, la seconda qualche settimana; dunque, di regola, un procedimento per estradizione impiega un anno e mezzo  prima di concludersi con la consegna della persona richiesta. Dura un po’ di meno se quest’ultima presta il consenso a essere trasferita. Il mandato di arresto europeo è invece per intero giurisdizionalizzato: non interloquiscono né intervengono i governi, bensì solo i giudici dei rispettivi stati dell’Ue; non vi è spazio per scelte politiche. La pronuncia che viene domandata all’autorità giudiziaria dello stato che dispone del soggetto ricercato si basa esclusivamente sulla verifica dei requisiti tecnici della consegna: l’esistenza di una sentenza definitiva a suo carico, ovvero di un provvedimento limitativo della libertà se il procedimento non è ancora concluso. I tempi sono più celeri: tre mesi (uno in più se vi è il ricorso per Cassazione, o a un giudice equivalente nel singolo stato dell’Ue); due-tre settimane se l’interessato acconsente.  

 


L'avvocato di Salah, Sven Mary (foto LaPresse)


 

E qui i conti cominciano a non tornare. Se infatti i rapporti fra Belgio e Francia fossero stati regolati secondo le norme antecedenti il mandato di arresto europeo, si sarebbe compresa la scelta del governo di Bruxelles di mettere a disposizione della nazione vicina e amica un soggetto che in Francia ne ha combinate di più gravi rispetto a ciò che ha fatto in Belgio: non accade così di solito, ma se ne sarebbe colta la logica politica. Le norme sul mandato di arresto europeo prevedono anch’esse la comparazione fra i delitti commessi nei due stati differenti, in caso di concorso di provvedimenti restrittivi; ma la prassi consolidata è che lo stato che ha a disposizione l’arrestato lo trattenga per sé fino alla definizione dei giudizi che lo riguardano, per consegnarlo solo all’esito di essi, e addirittura all’esito della eventuale espiazione della pena. Se Abdeslam fosse stato arrestato in Italia dopo aver commesso anche qui dei reati, la conclusione scontata sarebbe stata la sospensione della sua consegna a Parigi con la formula “fino a soddisfatta giustizia italiana”.

 

A Bruxelles pare invece che accada qualcosa di diverso: nonostante lo stesso Abdeslam sia perseguito per reati di terrorismo e di armi in Belgio, l’autorità giudiziaria belga ne fa presagire la consegna alla Francia. Di più; il giovane terrorista manifesta il proprio personale consenso per tale consegna, al punto da contribuire a snellire la relativa procedura. Se i giudici belgi confermassero tale decisione la motiverebbero formalmente con la maggiore gravità dei reati commessi in Francia; come se la qualificata appartenenza a una organizzazione terroristica, l’ipotesi della preparazione di altri attentati a Bruxelles e la disponibilità di mezzi per realizzare stragi non fossero in sé comunque gravi.

 

Nei fatti, la scelta dell’autorità giudiziaria belga sarebbe una rinuncia all’esercizio della propria giurisdizione: perché allora viene praticata? E come mai questa retromarcia si incrocia con la volontà di Abdeslam di essere perseguito in Francia? Fra le ipotesi di risposta alla prima domanda, vi è quella dell’impegno in termini di sicurezza e di garanzia dell’ordine pubblico di un processo nei confronti di Salah; fra le ipotesi di risposta al secondo quesito vi è la ricerca disperata da parte di costui di tutela e protezione adeguate: nei fatti Salah mostra di confidare poco nella capacità di provvedervi da parte del sistema belga. Acconsentendo ad andare in Francia, egli non si attende un trattamento di maggior favore: spera di essere raggiunto con più difficoltà da chi non gli perdona di non essersi fatto esplodere.
 

 

In modo singolare le valutazioni della giustizia del Belgio e del terrorista per quattro mesi latitante in Belgio convergono, e denunciano sfiducia, se pur da prospettive diverse, verso l’ordinamento di quel territorio. Domanda retorica, alla luce della presenza a Bruxelles delle principali istituzioni Ue: interessa solo il Belgio?