Salah Abdeslam e il carcere di massima sicurezza di Fleury-Mérogis

Quei fischi a Salah ci dicono che la libertà senza Dio è un'illusione

Antonio Gurrado
I fischi che hanno accolto Salah Abdeslam nel carcere di Fleury-Mérogis non esprimono disprezzo per la codardia di non lasciarsi esplodere ma lo inchiodano all’accusa di avere preferito essere vivo e libero in questo mondo nonostante la convinzione religiosa che, nell’altro mondo, sarebbe stato vivo e libero in maniera superiore, assoluta.

I fischi che hanno accolto Salah Abdeslam nel carcere di Fleury-Mérogis non esprimono disprezzo per la codardia di non lasciarsi esplodere ma lo inchiodano all’accusa di avere preferito essere vivo e libero in questo mondo nonostante la convinzione religiosa che, nell’altro mondo, sarebbe stato vivo e libero in maniera superiore, assoluta. Ad ascoltare le telefonate dei jihadisti della Brianza, pittoreschi o minacciosi che siano, colpisce la lucidità con cui dichiarano che la libertà in cui vivevano tra Oggiono e Bulciago era illusoria, e che solo una volta deciso di morire per Allah avevano compreso la libertà vera. Condividono in ciò l’entusiasmo con cui Santa Sinforosa si lasciò gettare nell’Aniene o con cui San Policarpo si concesse alle bestie nell’anfiteatro di Smirne, mentre dal cielo una voce gli diceva: “Coraggio, Policarpo”; condividono la beata rassegnazione dei valdesi segati a metà, impalati, precipitati dalle rocce nella Pasqua piemontese del 1655.

 

Il terrorismo islamico è un’aberrazione, e dopo il Cristianesimo non c’è bisogno di altre religioni tanto più che, a differenza degli jihadisti, Santa Sinforosa e San Policarpo non intendevano fare a pezzettini nessuno. Fatto sta che l’entusiasmo assassino di queste cellule ruota attorno al buco nero della nostra civiltà sedicente laica: il pervicace fingere di non accorgerci che la libertà senza Dio è un’illusione. O lo capiamo oppure nessuna operazione di polizia, da Lecco ad Aleppo, riuscirà ad afferrare la felicità del martire.

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