Soccorritori ad Arts-Loi, a Bruxelles, nei pressi della fermata della metro di Maelbeek (foto LaPresse)

I colpi del terrorismo

L'attacco islamista a Bruxelles rivela la grande disgregazione dell'Europa

David Carretta
Tre esplosioni, 34 morti e 200 feriti. Lo Stato islamico rivendica. “Altri jihadisti ancora in giro”, dicono le autorità – di David Carretta

Bruxelles. Due esplosioni poco prima delle otto del mattino nella grande hall dei check-in dell’aeroporto di Zaventem, un’altra deflagrazione appena dopo le nove su un vagone della metropolitana in una stazione nel cuore del quartiere delle istituzioni comunitarie: Bruxelles, capitale del Belgio e dell’Unione europea, è stata colpita dal terrorismo islamista, trasformandosi in poche ore da base operativa del jihadismo europeo in vittima della barbarie dello Stato islamico, che ha rivendicato l’attacco nel pomeriggio. Il bilancio: almeno 14 morti e 96 feriti all’aeroporto di Zaventem, 20 morti e 106 feriti alla stazione della metro di Maelbeek. “Quel che temevamo si è realizzato”, ha detto il premier Charles Michel, condannando un “attacco cieco e vigliacco”. Testimoni all’aeroporto hanno raccontato di grida in arabo e colpi d’arma da fuoco appena prima di una delle due esplosioni. L’inchiesta dirà se è una rappresaglia per la cattura venerdì 18 marzo di uno dei membri del commando che aveva colpito Parigi il 13 novembre 2015, oppure se l’operazione era stata pianificata da tempo, come pensano numerosi esperti. Le autorità hanno riportato il livello di allerta al massimo, decretando di fatto il blocco di Bruxelles e di parte del Belgio. Treni, metropolitana, bus e tram sono stati fermati. I tunnel essenziali alla circolazione della città e le stazioni sono stati chiusi per precauzione. “Temiamo che altre persone siano ancora in giro”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Didier Reynders. Le solite dichiarazioni sull’attacco contro “la nostra way of life” non hanno cancellato il panico e la paura né le lacrime dei bambini rimasti bloccati nelle scuole fino a sera.

 

Le foto e i video della giornata sugli attentati di Bruxelles

 

I sopravvissuti dell’aeroporto di Zaventem e della stazione di Maelbeek raccontano di botti, fumo, sangue e brandelli di corpi. Gli stessi brandelli del Bataclan a Parigi, della metro di Londra o della stazione di Atocha a Madrid. E le stesse domande: “Perché?”, chiede una passante a pochi metri dall’ingresso della stazione di Maelbeek. “I terroristi dietro alle atrocità di oggi attaccano il nostro stile di vita e ci attaccano per quello che siamo”, ha detto il premier britannico, David Cameron. “I terroristi puntano a toglierci la libertà, perché è il marchio di fabbrica dell’Europa”, ha spiegato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. “Questi attacchi toccano oggi Bruxelles”, ma è “l’Europa nel suo insieme a essere presa di mira”, ha detto il presidente della Commissione, Juncker: “L’Ue e le istituzioni devono essere e resteranno unite di fronte al terrore”.

 

In realtà, l’attacco a Bruxelles rivela la grande disgregazione in corso a livello europeo. Servizi segreti e autorità di polizia che non collaborano, se non con il contagocce perché le informazioni devono rimanere nazionali. Governi, come quello francese e belga, che si scambiano accuse per mesi su chi sia il vero responsabile degli attacchi di Parigi del 13 novembre. Capi di stato e di governo o leader politici, come Hollande in Francia o i sostenitori della Brexit nel Regno Unito, che vogliono chiudere le frontiere più a fini elettorali che per ragioni di efficacia nella lotta al terrorismo. Ipocrisie legalitarie o di privacy, come all’Europarlamento, che ritardano all’infinito l’adozione della banca dati sui passeggeri dei voli aerei in Europa. Renzi ha chiesto “un patto europeo per la sicurezza”, che rimane una chimera, attentato dopo attentato. “Siamo in guerra”, ha detto il premier francese, Manuel Valls, con realismo. Ma le migliaia di soldati dispiegati a Bruxelles da novembre nelle stazioni della metro o in aeroporto non hanno impedito l’attacco di martedì. La difficoltà di questa guerra è che il nemico non è solo a Raqqa: si trova a Molenbeek e nelle tante Molenbeek islamizzate d’Europa, nascosto e protetto da comunità più fedeli alla religione che alla democrazia. Esplosioni, brandelli di corpi, sirene di ambulanze e polizia, raid delle forze antiterrorismo sono la nuova normalità dell’Europa. Almeno finché tutti non decideranno di combattere la guerra a Raqqa e a Molenbeek.