Una donna in lacrime tra le rovine di Aleppo (foto LaPresse)

Ora che cade Aleppo

Paola Peduzzi
La Turchia chiude il confine, i russi bombardano, i sauditi si affacciano. La via diplomatica in Siria non esiste

Milano. “Ci sarà un cessate il fuoco in Siria”, aveva detto martedì il segretario di stato americano, John Kerry, “ci aspettiamo un cessate il fuoco, ci aspettiamo che venga rispettato, ci aspettiamo che sia garantito l’arrivo degli aiuti umanitari”. Il giorno successivo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in visita in Oman, ha dichiarato: “I bombardamenti russi non si fermeranno, non vedo perché debbano farlo”. Quella stessa sera i “talks” a Ginevra, iniziati la settimana scorsa in ritardo, sono stati ufficialmente “sospesi”, e le forze russe che assistono quelle siriane hanno ottenuto il più grande risultato militare della crisi siriana: chiudere le vie di approvvigionamento ad Aleppo dell’opposizione al regime di Damasco. Giovedì a Londra, Kerry ha ribadito: “Non potrei essere più chiaro, esiste un obbligo al cessate il fuoco, un obbligo sancito da una risoluzione dell’Onu, che è stata votata anche dalla Russia”. Il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere, poche ore dopo, che da lunedì a giovedì, le forze russe hanno fatto 270 bombardamenti (fonti dei ribelli dicono che sono 200 al giorno) – non ha precisato dove, ma se il segretario alla Difesa americano, Ash Carter, dice che da ottobre a oggi soltanto il 10 per cento degli strike russi ha colpito postazioni dello Stato islamico, è facile immaginare dove siano cadute le bombe russe. Aleppo, Idlib, a nord di Hama e a nord di Latakia.

 

Il patto di collaborazione tra occidentali e russi celebrato a novembre dal francese François Hollande, dopo gli attacchi a Parigi, e alla fine del suo “tour della solidarietà”, ha infine mostrato tutta la sua fragilità, e anzi l’illusione di una comunanza di obiettivi ha innescato un’accelerazione pericolosa sul campo di guerra. Di fronte alla possibile, forse inevitabile, caduta di Aleppo – sotto assedio da tre anni: ieri la parte a nord è stata “completamente circondata”, hanno detto fonti dei ribelli alla Reuters, le vie di approvvigionamento con la Turchia sono state tutte tagliate – almeno 70 mila persone sono scappate in direzione della Turchia, 15 mila sono ammassate sul confine che Ankara ha deciso di chiudere, un’altra ondata non è sostenibile né per la Turchia né per l’Europa, e ha accusato nuovamente la Russia di essere responsabile sia della crisi umanitaria sia di quella dei migranti. Di fronte alla possibile caduta di Aleppo, i sauditi hanno detto: siamo pronti a inviare truppe di terra, se ce lo chiedono. Un’invasione saudita in Siria: questa è una delle conseguenze dell’illusione di una guerra combattuta assieme ai russi (il Pentagono ha accolto l’offerta, non si sa bene quali saranno i prossimi passi). Di fronte alla possibile caduta di Aleppo, il presidente russo, Vladimir Putin, ha accolto a Mosca Ali Akbar Velayati, consigliere storico della Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Oltre a confermare l’acquisto di armi da parte di Teheran, Velayati ha spiegato che l’Iran e la Russia devono collaborare in modo sempre più stretto per “contrastare le minacce dell’occidente”: soltanto questa alleanza può creare “un nuovo ordine mondiale” che garantisca “stabilità, pace e sicurezza”. Ali Alfoneh, senior fellow della Foundation for Defense of Democracies e autore di un libro sulle Guardie della Rivoluzione iraniane, registra ogni giorno i mutamenti del coinvolgimento degli iraniani in Siria: è appena stata schierata una nuova brigata, la Saberin, un corpo speciale che va ad aiutare i gruppi già in campo, che hanno subìto molte perdite. Dal 2012 a oggi, tra i pasdaran ci sono stati 291 morti, dice Alfoneh, di cui 165 da quando è intervenuta la Russia, il 29 settembre 2015. E’ la dimostrazione, secondo gli esperti, che le forze siriane sono sempre meno “siriane”, il contributo di russi e iraniani è in crescita, e gli scontri sono in costante aumento. Secondo fonti riportate da Liz Sly sul Washington Post, ad Aleppo stanno combattendo milizie sciite guidate dall’Iran e formate da iracheni e afghani.

 

[**Video_box_2**]Staffan de Mistura, inviato dell’Onu in Siria e mediatore dei “talks” falliti a Ginevra, ha detto che non si può negoziare e combattere allo stesso tempo, ma i russi fanno sapere che non si fermeranno finché “i terroristi non saranno uccisi” e dicono ai ribelli di Aleppo: dovreste essere contenti, stiamo uccidendo i miliziani. De Mistura ha ragione: negoziare mentre cade Aleppo sotto i colpi dell’alleanza russo-iraniana è impossibile. Quel che non dice è che la soluzione diplomatica, ormai, non esiste più.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi