Il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis, con Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Così Grecia e Spagna hanno conquistato la ribalta europea

Ugo Bertone

I due paesi stanno giocando un ruolo di primo piano nel tentativo di sbloccare l'impasse. Atene propone la creazione di una bad bank, Madrid lancia un fondo Ue da 1.500 miliardi di euro. E l'Italia continua a parlare di Mes 

Il tempo comincia a scarseggiare ma, in vista della teleconferenza di giovedì tra i capi di governo dell’Eurozona, la diplomazia è in azione. Com’era prevedibile, perché a nessuno conviene il muro contro muro. Meno facile da prevedere che, per venire a capo dell’impasse sugli eurobond, invisi ai Paesi del nord, e l’utilizzo del Mes, quasi un’eresia per sovranisti e Cinque Stelle di casa nostra, scendessero in campo la Spagna e nientemeno che la Grecia, la Cenerentola d’Europa, da non molto tempo uscita dalle grinfie della Troika.

 

Il governo di Atene, che sta reggendo l’urto della pandemia e della pressione dei migranti, ha usato l’autorevolezza riconquistata di recente per convincere i vertici della Bce a sostenere la proposta di dar vita ad una bad bank a livello comunitario in grado di ripulire i bilanci delle banche in sofferenza, cancellando con un colpo di spugna le regole attuali che autorizzano l’intervento dello Stato solo dopo che paghino azionisti, una parte degli obbligazionisti e i grandi correntisti. Solo così le banche, ripulite dagli scheletri di ieri ma ancor più dei crediti in sofferenza che andranno inevitabilmente ad accumularsi nelle economie ferite dal coronavirus, potranno risolvere il problema delle sofferenze.

 

Ma sarà una bad bank nazionale o europea? “L’importante è che nasca il più in fretta possibile” ha dichiarato al Financial Times Yannis Stournaras, governatore della Banca di Grecia e membro del Consiglio direttivo della Bce. La proposta, ammette il quotidiano della City, non ha fatto breccia nella maggioranza della Commissione Ue, ma la questione resta aperta anche perché il vicepresidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos è più che favorevole. La proposta greca può del resto contare su uno sponsor assai rispettato in sede europea: l’italiano Andrea Enria, il numero uno della Sorveglianza della Banca centrale di Francoforte che l’aveva lanciata nel 2017 quand’era alla guida dell’Eba (l’autorità bancaria europea). Lo stesso Enria, in un intervento sullo spagnolo “El Confidential” domenica ha assicurato che la Banca Centrale Europea “darà agli istituti il tempo sufficiente per tornare ai normali livelli di capitale e liquidità dopo che la crisi del coronavirus sarà terminata”.

  

Una missione obbligata ed urgente a giudicare dal report dell’agenzia Fitch che ieri mattina ha anticipato una profezia tanto facile quanto amara: “Le banche dell’Europa occidentale vedranno probabilmente un elevato numero di downgrade nel 2020”. Insomma, anche se a differenza che nel 2008/09 le banche sono vittime più che colpevoli, il rischio è che, in assenza di un sostegno adeguato, gli istituti bancari rischiano di trasformarsi in un problema in più. Intanto la Spagna è pronta a giocare il suo jolly.

  

Ieri mattina El Pais ha lanciato la notizia di un’imminente proposta per la creazione di un fondo Ue da 1.500 miliardi di euro per finanziare la ricostruzione economica nei Paesi più colpiti dal coronavirus. La manovra studiata dall’esecutivo a guida socialista di Madrid va oltre sia gli Eurobond che il Recovery Fund europeo proposto dal ministro francese Bruno Le Maire e caldeggiato con grande enfasi dal presidente Emmanuel Macron. Il premier Pedro Sánchez intende, secondo il giornale madrileno, proporre uno strumento finanziato con debito permanente e perpetuo da tutti i 27 Paesi Ue che opererebbe come garante di trasferimenti diretti agli Stati in difficoltà, permettendo loro di contabilizzare i fondi ricevuti non come debito ma come un’assistenza una tantum vincolata alla durata della crisi. L’Europa mediterranea si emancipa così dal padrinato italiano, non sempre comprensibile. Ma la quadratura del cerchio nella riunione virtuale di giovedì resta per ora poco più di un’ipotesi. Angela Merkel, intanto, va al sodo: “Si può discutere di nuovi trattati, ma ci vorranno due o tre anni per trovare soluzioni”, ha dichiarato ieri. “Ma avremo bisogno di risposte rapide per affrontare questa pandemia e la Germania parteciperà a risposte di solidarietà che vanno oltre i 500 miliardi che già abbiamo stanziato”. 

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