Anche senza coronabond, i mercati si aspettano prestiti solidali

Mariarosaria Marchesano

Che si tratti di Mes, di Bei o di altri meccanismi, la reazione dipenderà dalla strategia individuata dall'Eurogruppo per superare la crisi, non dallo strumento

Milano. Assomiglia un po’ all’ottimismo della volontà il sentiment che sta guidando i mercati in attesa della riunione dell’Eurogruppo prevista per oggi. Gli investitori guardano sì alla “fase due” della pandemia, ma soprattutto sembrano riporre fiducia in una risposta politica forte e condivisa dell’Europa per evitare una terribile recessione. E sarebbe molto grave, dal punto di vista di chi movimenta centinaia di miliardi di investimenti privati nella zona euro, se dal summit tra i ministri delle finanze non emergesse un chiaro indirizzo di solidarietà perché questo vorrebbe dire che la tenuta europea è in discussione e che i capitali investiti sono messi a rischio. Non è un caso che le analisi delle più grandi case d’investimento del mondo vadano, seppure con sfumature diverse, in un’unica direzione perché è proprio quello che succede quando all’orizzonte c’è un pericolo molto elevato come la frammentazione di una zona monetaria da cui potrebbe scaturire un effetto domino.

 

Negli ultimi report si citano poco i coronabond, ma il concetto di fondo – e cioè la mutualizzazione dei debiti – è rimasto grosso modo invariato, seppure con la consapevolezza che a prevalere sarà una soluzione di mediazione su cui convergono Francia e Germania. “In Europa si è dato ampio margine di intervento ai singoli stati, sospendendo il vincolo di bilancio del Patto di stabilità – spiega in una ricerca Andrea Delitalia di Pictet Am, colosso mondiale del risparmio gestito – ma manca ancora una risposta unitaria e coordinata, in grado di evitate una crescita smisurata dei debiti pubblici dei singoli paesi nonostante l’intervento salvifico della Bce e del suo programma di acquisto, ormai senza limiti”. Secondo Pictet, il debito sovrano dei paesi europei, (se depurato della quota detenuta dall’istituto centrale), è pari solo al 60 per cento del loro pil, il che vuol dire che è abbondantemente all’interno delle linee guida tracciate dal Trattato di Maastricht. “Come spesso accade, la soluzione potrebbe trovarsi nel mezzo: un intervento che veda il bilancio europeo impegnato a garanzia di finanziamenti della Bei o dello stesso Fondo salva-stati in qualità di emittente”, ipotizza Delitala.

 

Nei giorni scorsi, l’arroccamento dei paesi nordeuropei ha preoccupato soprattutto le banche d’affari americane e di origine anglosassone, che hanno utilizzato toni sorprendentemente severi. In una ricerca inviata ai suoi investitori globali, Citi, per esempio, ha indirettamente bocciato la linea del rigore di Germania e Olanda, dicendo che il nuovo debito “è innocente” e che “servono, e subito, prestiti solidali e incondizionati e non con una subordinazione dei debiti pregressi” a favore di tutti i paesi europei altrimenti nei prossimi giorni “l’Europa rischia di disintegrarsi”. Un punto centrale toccato di Citi è il seguente: è determinante che le istituzioni europee in questa fase di emergenza vengano percepite come facilitatori e non come un ostacolo alle risposte di politica fiscale. Che si tratti di Mes, di Bei o di altri meccanismi, i mercati avranno una reazione a quello che proporrà l’Eurogruppo, e in seguito alla decisione del consiglio europeo, non tanto in base allo strumento, ma alla strategia individuata.

 

“Il rischio principale è che i paesi che affrontano uno choc simmetrico finiscano per dare una risposta politica asimmetrica e così si finisce con il solito divario periferico-centrale, con la periferia che ha una recessione molto più persistente che ritarderebbe anche la ripresa di tutto il nucleo”, osservano gli analisti di Bank of America (Bofa) che arrivano a teorizzare un’ipotesi estrema per superare l’attuale fase di stallo. “Abbiamo bisogno che la risposta panaeuropea sia grande, includa una qualche forma di mutualizzazione, e sia immediata – questo è la premessaa di BofA – Ma la reciprocità del debito pubblico sta diventando una discussione tossica in alcune economie fondamentali, quindi le nostre speranze per una soluzione adeguata sono limitate”. E qui una domanda provocatoria: “Cosa succederebbe se le istituzioni europee saltassero il mediatore politico e appoggiassero direttamente il settore privato?”. Difficile dire se una simile idea sia percorribile, ma il solo fatto che venga posto il quesito la dice lunga sulle perplessità di un grande investitore di fronte alla diatriba tra i paesi del “blocco del nord” e quelli del sud Europa, che vede in prima line l’Italia. “Siamo su una palafitta che brucia – dice al Foglio Alessandro Aspesi, responsabile per l’Italia del gruppo britannico Colombia Threadneedle –. Un aggravamento della divaricazione europea tra centro e periferia potrebbe generare una nuova ondata di populismi e nazionalismi ben più accentuata di quanto abbiamo visto finora”. Per questo sarebbe importante che i paesi europei facessero capire che sono disposti a condividere almeno in parte il rischio sui finanziamenti che servono per affrontare un choc esogeno. Il che, secondo Aspesi, vuol dire anche che tale debito non deve andare a gravare sulla situazione debitoria pregressa. “Se anche venisse utilizzato il Mes, sarebbe da evitare a mio parere qualsiasi condizionalità, ma questo probabilmente rappresenta un problema per la Germania, che deve giustificarsi con parte della sua opinione pubblica”, aggiunge Aspesi. Secondo Alain Durré di Goldman Sachs, proprio perché le richieste di coronabond emessi congiuntamente hanno incontrato resistenza in alcuni paesi, l’attenzione dell’Eurogruppo di concentrerà probabilmente su misure che prevedono “una mutualizzazione parziale, basata su garanzie nazionali, attraverso l’attivazione di strumenti esistenti” e cita le opzioni sul tavolo che sono nate dalla convergenza tra il ministro delle finanze francese. Bruno Le Maire, e quello tedesco, Olaf Scholz: un accesso facilitato ai prestiti Mes; finanziamenti della Bei alle pmi; un’assicurazione di disoccupazione a livello europeo; un fondo di salvataggio per promuovere gli investimenti e la ricostruzione.

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