Debito e fiducia. Il difficile rapporto tra la “cicala” italiana e le “formica” tedesca

Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Gian Luca Clementi, Andrea Moro e Giulio Zanella

Gli eurobond senza condizioni sono uno strumento di gran lunga inferiore al Mes. E comunque non è pensabile di mantenere il paese al sicuro da una crisi finanziaria senza agire sulla crescita

Tutti i paesi colpiti dall’epidemia hanno predisposto o stanno prendendo provvedimenti al fine di limitare, per quanto possibile, l’effetto dello shock avverso sulle loro economie. Invariabilmente, questi provvedimenti richiederanno maggiori spese. Dove trovare le risorse? Un aumento dell’imposizione fiscale non è auspicabile: l’unica alternativa è un aumento dell’indebitamento sovrano, cioè l’emissione di nuovi titoli pubblici.

 

Le varie realtà nazionali, soprattutto entro l’Unione europea, arrivano a questo frangente in condizioni economiche e patrimoniali molto diverse. La Germania, per esempio, ha un rapporto tra debito dello stato e pil di circa il 60%, mentre l’Italia veleggia verso il 135% (le cifre sono destinate a peggiorare per tutti a causa della caduta del PIL). Ciò significa che, pur astraendo da altre differenze fondamentali tra i debitori, questi paesi hanno al momento diverse capacità di ulteriore indebitamento. Questo è il motivo per cui gli investitori accettano di riconoscere al Tesoro tedesco un rendimento inferiore rispetto al Tesoro italiano (lo “spread”).

 

La Germania (così come l’Irlanda e la Polonia, per fare altri esempi) ha contenuto il proprio indebitamento in misura precauzionale, così come si auspica faccia una famiglia in un periodo di relativa abbondanza. Ora si trova nelle condizioni di dover utilizzare l’indebitamento esattamente per l’obiettivo per cui è disegnato, cioè la riduzione degli effetti avversi di un shock negativo sull’economia.

 

L’Italia, purtroppo, ha fatto altrimenti. Nel decennio successivo alla crisi finanziaria globale del 2008, i vari governi che si sono succeduti non hanno voluto porre mano a riforme economiche fondamentali che avrebbero rilanciato la crescita e quindi ridotto anche il rapporto debito/pil. Arriviamo dunque all’appuntamento con la nuova crisi con un debito, rispetto al pil, di ben trenta punti percentuali superiore rispetto al 2008. La Germania, con venti punti percentuali in meno. 

 

Mentre scriviamo, infuria il dibattito sulle strategie che il governo italiano dovrebbe seguire e sulle richieste per gli altri paesi dell’Unione europea. Prima di analizzare brevemente le limitate alternative a disposizione, occorre fare un punto elementare: agire in maniera unilaterale avrebbe conseguenze disastrose sull’economia del paese. Decidere di piazzare nuovo debito sul mercato senza coordinarsi con i partner europei è senz’altro una prerogativa del governo, ma porterebbe a un innalzamento immediato dei rendimenti sia sui titoli pubblici sia su quelli privati e a un deterioramento dei bilanci delle banche, con il risultato di aggravare la crisi e portare il Tesoro sull’orlo della bancarotta.

 

Venendo ora agli sforzi di coordinamento con l’Unione europea, c’è chi insiste sull’emissione di nuovi titoli, etichettati maldestramente “eurobond” o “coronabond”, i quali dovrebbero essere garantiti congiuntamente da tutti i paesi dell’Unione. Per essere chiari, si pretende che nel caso di default parziale o totale del Tesoro Italiano, i detentori di tali titoli potrebbero rivalersi sui governi degli altri paesi. Una prima ovvia considerazione è che ciò equivale a chiedere ai contribuenti di altri paesi di sobbarcarsi gli oneri di quello italiano, nonostante in passato il governo italiano si sia rifiutato di porre in essere adeguate politiche di crescita, mentre i governi molti altri paesi (quasi tutti di fatto) si son comportati altrimenti. Detta schiettamente: si chiede alle formiche di pagare il conto per la cicala.

 

In reazione a questa ovvia considerazione, c'è chi sostiene che l’emissione degli eurobond sia nell’interesse stesso dei paesi più virtuosi, visto che un forte deterioramento delle condizioni di finanziamento del Tesoro italiano avrebbe effetti enormi ben aldilà dei confini nazionali. Non v'è dubbio che questi effetti ci sarebbero e sarebbero enormi. Ma è anche fuor di dubbio che una qualche forma di condizionalità del prestito sia necessaria per evitare comportamenti poco responsabili dei paesi maggiormente indebitati che, senza condizioni, avrebbero interesse a scaricare il ripagamento del debito sugli altri

 

Per questo infatti gli eurobond senza condizioni sono uno strumento di gran lunga inferiore allo European Stability Mechanism (ESM). Quest’ultimo è lo strumento di cui si è dotata l’Unione europea durante lo scorso decennio per soccorrere paesi membri con difficoltà di accesso ai mercati e prevede esplicitamente alcune forme di condizionalità del prestito. Così come nel caso di Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia negli ultimi anni, all’Italia verrebbero imposte una serie di condizioni non solo sull’ammontare di nuovo deficit, ma anche sulle politiche economiche da attuare. 

 

L'opportunità di tali condizioni è il risultato di concetti di economia relativamente semplici. La narrativa comune oggi nella stampa, che vede queste condizioni come forme di punizione, è malamente fuorviante. L’effetto delle condizioni sarebbe quello di ridurre comportamenti opportunistici (“azzardo morale”) di cui i governi italiani sono plateali. Senza condizioni, vista la fungibilità delle risorse finanziarie, il governo potrebbe cadere nella tentazione di utilizzare risorse “liberate” dagli eurobond per interventi sconsiderati. Anzi, pare lo abbia già fatto, vista la pessima decisione di nazionalizzare Alitalia.

 

Le condizioni a cui sarebbe soggetto l’intervento dell’ESM, abbassando notevolmente il costo complessivo globale per i paesi Ue rispetto agli eurobond, consentirebbe di ottenere maggiori risorse. Per questo motivo, il beneficio della condizionalità, se ben disegnata, sarebbe maggiore per il paese che per i suoi creditori. 

 

È bene specificare che quando si parla di condizioni, non si intende misure che vanno a decurtare il flusso corrente di risorse a favore del paese. Si tratta invece dell’obbligo di adottare subito misure legislative il cui fine è l’incremento dell’occupazione e della crescita economica all’indomani della crisi. Si tratta di iniziative che avrebbero dovuto essere intraprese in passato, che sarebbero opportune ora anche in assenza del Covid-19, ma che a causa di questo sono diventate improcrastinabili. A causa della recessione in atto, con ogni probabilità il rapporto debito/pil si innalzerà oltre il 150% anche in assenza di ulteriore debito. Non è pensabile di mantenere il paese al sicuro da una crisi finanziaria senza agire sulla crescita.

 

Alberto Bisin, NYU Department of Economics

Michele Boldrin, Washington University in St. Louis,

Sandro Brusco, Stony Brook University New York

Gian Luca ClementiNew York University Stern

Andrea Moro, Vanderbilt University

Giulio Zanella, University of Adelaide e Università di Bologna

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