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Perché l'operazione Intesa-Ubi lancia anche la leadership di Cimbri

Stefano Cingolani

Il ruolo di Bper, il rapporto con Mediobanca, il peso di Unipol in Rcs e la nuova finanza che fa capolino a via Stalingrado

Roma. E’ vero, l’operazione Intesa-Ubi fa nascere un campione nazionale più forte in Europa, come ha dichiarato Carlo Messina, capo della prima banca italiana. Ma nello stesso tempo si rafforzano alcuni “campioncini” di non secondaria importanza, perché danno sostanza a quella che viene rappresentata come una “operazione di sistema”. Senza la sponda di Unipol e della Bper (la Banca popolare dell’Emilia Romagna della quale la compagnia di assicurazioni possiede il 20 per cento) l’offerta di Intesa agli azionisti di Ubi sarebbe stata più difficile e avrebbe incontrato sulla sua strada l’antitrust. Carlo Cimbri, amministratore di Unipol e Alessandro Vandelli, amministratore delegato di Bper, hanno svolto dunque un ruolo di primo piano. La banca modenese comprerà tra 400 e 500 filiali della Ubi e per questo dovrà aumentare il capitale; Unipol è pronta a sostenerlo, d’altronde la compagnia si rafforza essa stessa consolidando la sua posizione nel ramo danni.

 

“E’ la prima volta in dieci anni che una banca deve aumentare il capitale non per salvarsi o per coprire crediti inesigibili, ma per crescere”, sottolinea un consulente finanziario. “Quattro soggetti sani e ben gestiti, Intesa, Ubi, Unipol e Bper, si mettono insieme per rafforzarsi. Una cosa del genere non si vedeva da tempo. Anche questo segna la fine di un’era”. Tutto passa per il mercato, senza patronage politico, viene condotto in gran segreto e lascia al mercato l’ultima parola. Nella partita è entrata anche Mediobanca e molti hanno parlato di una sorta di pacificazione dopo anni di sfide e battaglie che hanno visto l’un contro l’altro armati Messina e Alberto Nagel. In realtà i rapporti erano già migliorati e oggi, semmai, viene messo il sigillo a un cambio di fase ai vertici della finanza italiana. Il legame tra Cimbri e Nagel viene stretto nel 2013 quando la Unipol compra la Sai, compagnia di assicurazioni travolta dal crac del gruppo Ligresti e così facendo alleggerisce la banca d’affari creata da Enrico Cuccia di un peso finanziario che avrebbe potuto metterla a terra. Da allora si cementa un rapporto di mutuo sostegno e fiducia che non viene scalfito dalle battaglie finanziarie che li vedono protagonisti. Una delle più importanti riguarda senza dubbio il controllo del Corriere della Sera, quando nel 2016 John Elkann mette in vendita la quota della Fiat. Cimbri aveva ereditato il pacchetto di Ligresti e allora si disse che da via Stalingrado (quartier generale Unipol a Bologna) si era spostato in via Solferino. Ma la compagnia ha svolto sempre il ruolo di azionista leale. Nello scontro che oppose Andrea Bonomi appoggiato da Mediobanca a Urbano Cairo sostenuto da Intesa Cimbri stava con piazzetta Cuccia, senza mai a esasperare i toni. Oggi siede in consiglio con quasi il 4,89 per cento, poco più della Pirelli (Cairo ha il 59 per cento, Mediobanca il 9,9, Della Valle il 7,3 per cento), una collocazione che in ogni caso, nonostante la voglia di sminuire, rafforza la posizione nei salotti del potere mediatico-finanziario con le ricadute politiche del caso.

 

Cimbri, nato a Cagliari nel 1965, è entrato in Unipol nel 1990, ha preso il comando dieci anni dopo e ha fatto compiere un vero salto alla compagnia, superando la conventio ad excludendum che la teneva fuori dai grandi giochi. Il fattore K è duro a morire. La grande occasione arriva con il crac Ligresti, anche se molti temono sia un azzardo (bruciava ancora il ricordo della catastrofica scalata di Giovanni Consorte alla Bnl nel 2005). Nel presentare il progetto ai suoi dirigenti, Cimbri mostra un filmato: un velivolo scende sulla piazza Rossa, si apre la porta e scende baffone Stalin. “Ecco, fuori di qui ci vedono ancora così – dichiara – non dovrà succedere mai più”. Ha tenuto fede alla promessa. Ha spezzato il cordone ombelicale con la Finsoe che faceva capo alla Lega delle cooperative rosse. Oggi non c’è più un singolo soggetto controllante, ma diversi azionisti anche se fanno tutti parte del mondo Coop. Ciò garantisce senza dubbio più trasparenza e maggiore autonomia nella gestione. La compagnia non è cresciuta solo di taglia. Ha chiuso il 2019 con un utile operativo di oltre un miliardo di euro anche in seguito al consolidamento della quota in Bper. In un anno il titolo in borsa è salito del 37 per cento. Oggi Unipol è la numero due in Italia con premi per 16 miliardi e 673 milioni, seguita da Poste italiane. Ed è la numero uno nel ramo danni, anche se resta incolmabile la distanza con le Generali più grande di almeno quattro volte Ma chi nel 2010 aveva previsto che Cimbri sarebbe arrivato così in alto?

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