Carlo Messina (foto LaPresse)

Gestire la ricchezza è l'unica scelta per una banca in un paese che non cresce

Mariarosaria Marchesano

Euforia in Borsa per il possibile matrimonio tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca. La speranza è che l'operazione segni l’inizio di un processo di riassetto che coinvolga un po’ tutto il settore del credito

Milano. Che in Italia stesse per partire una stagione di fusioni bancarie era nell’aria. Quella del consolidamento domestico è una tendenza incoraggiata ormai apertamente dalla Bce e dalla vigilanza europea e in Italia da mesi si rincorrono voci su possibili aggregazioni tra operatori del credito. Ma tra tutte le ipotesi circolate nessuno poteva immaginare un matrimonio tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, men che meno che con la partecipazione di due “testimoni” eccellenti come Unipol e Bper, che speculazioni di mercato volevano impegnati su altri dossier. Così, la sorpresa della comunità finanziaria è stata grande di fronte all’offerta pubblica di scambio (Ops) da quasi 5 miliardi annunciata nella tarda serata di lunedì da Intesa. “L’operazione apre un nuovo capitolo della storia di questo gruppo: vogliamo unire due eccellenze del nostro sistema bancario – Intesa Sanpaolo e Ubi Banca – per dare vita a una nuova realtà leader nella crescita sostenibile e inclusiva”, ha detto il ceo Carlo Messina ammettendo, tra l’altro, che la proposta “non è amichevole in senso tecnico”, ma ideata con l’auspicio che venga considerata come tale dalla banca presieduta da Letizia Moratti e amministrata da Victor Massiah, che riunisce il cda domani per le sue considerazioni.

 

Dire che per il settore bancario è stata come una scossa di adrenalina non è esagerato, a giudicare dalla reazione in Borsa sia dei titoli coinvolti (in particolare Ubi, che ha fatto un balzo del 23 per cento in una sola seduta, e Bper, che invece è scivolata del 10 per cento) sia di quelli che non hanno a che fare con l’operazione che, però, vengono visti come potenziali protagonisti di future aggregazioni, cioè Banco Bpm e Montepaschi (entrambi hanno guadagnato oltre il 5 per cento). L’euforia nasce, dunque, dall’attesa che l’iniziativa di Intesa Sanpaolo segni l’inizio di un processo di riassetto che coinvolga un po’ tutto il settore del credito che vede sempre più compressi i livelli di redditività a causa del prolungarsi di tassi d’interesse vicino allo zero e della lenta transizione verso il fintech.

 

Ma è un’idea sbagliata secondo Andrea Resti, economista della Bocconi e advisor del Parlamento per la vigilanza bancaria: “Dubito che siamo all’inizio di un processo di consolidamento bancario nel nostro paese. L’operazione tra Intesa e Ubi risponde alle logiche e agli interessi dei singoli soggetti coinvolti, ma non è assolutamente detto che inneschi un effetto a catena. Anzi, mi pare che, se andasse in porto, uscirebbero di scena in un solo colpo tre soggetti come Ubi, Bper e Unipol che sarebbero potuti essere potenziali investitori in altre iniziative di riassetto del credito. Insomma, da osservatore vedo che, per esempio, ci sarebbero meno acquirenti per il Montepaschi di stato”. Come per dire, se si fondono tra loro banche sane, chi salva poi quelle in crisi? Ma è proprio questo il punto. Nel formulare la sua proposta, Messina deve aver pensato a come proiettare la sua banca nel futuro (l’obiettivo è conquistare una quota di mercato del 20 per cento consolidando la posizione di primo gruppo bancario italiano e terzo a livello europeo, con una previsione di utili di 6 miliardi nel 2022) e non a come assecondare una logica di consolidamento da “salvataggio” com’è, invece, avvenuto a suo tempo con le banche venete o come il governo si aspetta che accada quando Mps dovrà essere riprivatizzata.

 

Se Ubi accetterà o meno la proposta è tutto da vedere ma anche l’effetto sorpresa di un’Ops non concordata sembra figlio di una scelta con un focus rivolto al mercato (era, infatti, l’unico modo per evitare speculazioni e turbative su ben quattro titoli coinvolti). “Per comprendere l’operazione di Intesa bisogna ragionare come una banca che vuole continuare a essere solida e a realizzare profitti in un paese stagnante come l’Italia – dice al Foglio Andrea Monticini, economista dell’Università Cattolica – Tra erogare prestiti e amministrare la ricchezza degli italiani, Intesa Sanpaolo ha scelto la seconda strada perché è l’unica che consente di mantenere adeguati i livelli di redditività per i suoi azionisti quando non c’è crescita economica. Sto semplificando, naturalmente, ma l’indirizzo strategico mi pare chiaro: acquisire Ubi, che ha un forte radicamento in regioni come Lombardia e Piemonte, significa scegliere di creare valore attraverso la gestione dei patrimoni delle grandi famiglie con un modello di business focalizzato sul risparmio del paese”.

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