Victor Massiah (foto LaPresse)

L'erede che Bazoli cercava

Stefano Cingolani

Messina, Massiah, il mentore, la partita a poker. Ritratto incrociato

Roma. Il sentiero che incrocia i destini, per Carlo Messina e Victor Massiah, è passato per il Banco Ambrosiano Veneto e per le mani di Giovanni Bazoli. Entrambi si sono laureati a Roma, entrambi sono entrati nella sfera celeste dell’avvocato e banchiere bresciano. Ma nella serata di lunedì 17 gennaio, i percorsi paralleli hanno cominciato a divergere. Massiah aveva presentato in mattinata il piano industriale di Ubi Banca poi era volato a Londra per incontrare gli analisti. Appena arrivato ha appreso che Intesa Sanpaolo guidata da Messina lanciava un’offerta pubblica di scambio sulla sua banca. E Bazoli presidente emerito? “Ho conosciuto la decisione solo al momento della comunicazione ai mercati”, ha dichiarato. La mossa “non è ostile, ma tecnicamente non è amichevole” ha ammesso Messina. Che cosa ha diviso la vecchia nidiata bazoliana? Facciamo un passo indietro.

 

  

Carlo Messina nasce a Roma il 6 aprile 1962, studia alla Luiss e impara il mestiere alla Bnl dove è rimasto fino al 1995, quando entra nell’Ambroveneto. Per tappe successive, prima la Cariplo strappata alla Mediobanca di Enrico Cuccia, poi la mitica Commerciale da dove proveniva lo stesso Cuccia, infine Imi-Sanpaolo: la banca presieduta da Bazoli si è ingrandita fino a diventare la numero uno in Italia. Messina si è via via fatto largo ai piani alti come manager esperto di pianificazione e controllo. Lo hanno definito un uomo dei conti, un mediano anche di classe come il Lele Oriali al quale si è ispirato Ligabue per la sua canzone, ma le cose non stanno esattamente così. Messina non è in grado di fare grandi scatti? E allora come la mettiamo con il Corriere della Sera dove, in coppia con il suo vice Gaetano Miccichè, mette in scacco Alberto Nagel e sostiene finanziariamente l’ascesa di Urbano Cairo? 

 

Lo scontro con Mediobanca è una eredità lasciata da Bazoli, lo stratega della finanza bianca in decennale conflitto con la finanza laica che aveva il suo gran maestro in Enrico Cuccia. Ma alcuni dei colpi inferti in anni più recenti sono opera di Messina, che si trova sul lato opposto della barricata anche nello scontro tra Vincent Bolloré (azionista rilevante di Mediobanca) e la Mediaset di Silvio Berlusconi. Dopo la dissoluzione del salotto buono che teneva insieme in Via Filodrammatici le grandi famiglie del capitalismo italiano e dopo la svolta internazionalista di Unicredit, l’unica “banca di sistema” in Italia resta Intesa Sanpaolo. Un altro lascito di Bazoli, ma alla teoria e alla prassi del grande vecchio ha aderito pienamente il suo più giovane pupillo, con tenacia e con ardire persino eccessivo (come dimostra la sconfitta nella battaglia per le Assicurazioni Generali nel giugno 2018). Non solo uomo d’ordine, dunque. Certo, le operazioni sistemiche sono molte e pesanti (si pensi solo all’Alitalia), ma Messina ha dimostrato di saper fare soldi. Perché vuole la Ubi? Per gestire risparmi superiori a mille miliardi di euro. E’ questo il core business oggi, fare prestiti è un mestiere dal quale si ricava poco in tempi di interessi zero. E Messina vuole realizzare entro due anni utili per sei miliardi di euro con 21 miliardi di ricavi, la crescita interna non basta. Un paese come l’Italia non può avere che due-tre grandi banche generaliste (più o meno come avviene in Francia o nella stessa Germania). Le altre o si specializzano o sono destinate al declino se non all’estinzione. La rivoluzione digitale impone di tagliare sportelli e dipendenti. Per Intesa si tratta di oltre 7 mila, per Ubi più di 2 mila, pari al 10 per cento degli impiegati. Aumentando il perimetro, la ristrutturazione è meno dura.

 

Victor Massiah era entrato in Ambroveneto nel 1997, due anni dopo Messina, con un curriculum senza dubbio più vario. Nato nel 1959 in Libia, dalla quale la famiglia fugge a Roma, come la maggior parte degli ebrei italiani dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, vinta da Israele, si laurea in Economia e commercio all’Università La Sapienza e va a lavorare nel 1982 presso la Andersen Consulting. Nel 1989 diventa consulente da McKinsey & Co. là dove sono passati anche Corrado Passera e Alessandro Profumo. Poi subisce il fascino di Bazoli. Nel febbraio 1998 diventa direttore commerciale e quindi vicedirettore generale dell’Ambroveneto, segue la fondazione di Banca Intesa come responsabile dell’area mercato e nel gennaio 2001 ne diventa vicedirettore generale. Il passaggio alla Ubi Banca non lo allontana dal rapporto con Bazoli, perché l’avvocato e banchiere bresciano è stato sempre un punto di riferimento per l’istituto di credito nato dalla fusione di Banche Popolari Unite e Banca Lombarda e Piemontese. Massiah ha guidato Ubi in mezzo alla tempesta bancaria degli ultimi anni, ha realizzato la sua trasformazione in società per azioni che ha cambiato l’assetto proprietario: i soci più rilevanti oggi sono fondazioni bancarie (la Cassa di risparmio di Cuneo) e privati come Bombassei, Radici, Beretta, che con un patto di consultazione hanno messo sotto tutela proprio il top manager. Mentre l’attenzione del mercato era su un possibile matrimonio con la Popolare di Milano o con il Monte dei Paschi di Siena, è stato Messina a calare l’asso. Ironia della storia, con Mediobanca come advisor. I sentieri s’incrociano e si confondono. In Borsa le azioni Ubi hanno fatto un balzo del 23 per cento. Piazza Affari ha già votato.