Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, parla durante una conferenza stampa (foto LaPresse)

Lezioni dalla Fed sulla difesa dell'indipendenza delle Banche centrali

Luciano Capone

Quattro ex presidenti corazzano Powell dagli attacchi di Trump. Qui nessuno ha difeso Bankitalia dagli assalti sovranisti

Roma. “Come ex presidenti del board dei governatori della Federal Reserve, siamo uniti nella convinzione che alla Fed e al suo presidente debba essere permesso di agire in modo indipendente e nel migliore interesse dell’economia, liberi da pressioni politiche a breve termine e, in particolare, senza la minaccia di rimozione o retrocessione per motivi politici”. Con un editoriale sul Wall Street Journal quattro ex presidenti della Federal Reserve, tutti quelli in vita, hanno preso le difese dell’indipendenza della banca centrale americana e del suo attuale governatore, Jerome Powell, oggetto sin dal giorno della sua nomina di ripetuti e continui attacchi e minacce di allontanamento da parte del presidente americano Donald Trump. I quattro ex governatori – Paul Volcker, Alan Greenspan, Ben Bernanke e Janet Yellen – due democratici e due repubblicani, nominati e confermati da governi di entrambi i colori negli ultimi 40 anni di attività della Fed, hanno ribadito che l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale sono indispensabili per raggiungere gli obiettivi di piena massima occupazione e stabilità dei prezzi fissati dalla legge (e quindi dalla politica). Il fatto che la banca centrale sia indipendente non vuol dire che sia irresponsabile: il Congresso fissa i poteri e gli obiettivi della Fed, i vertici vengono continuamente auditi e sono tenuti a spiegare le loro decisioni e come intendono rispettare il loro mandato. C’è quindi un controllo pubblico, ma “la storia ha insegnato ripetutamente che un’economia è più forte e funziona meglio quando la banca centrale agisce indipendentemente dalle pressioni politiche di breve termine e si basa esclusivamente su solidi principi e dati economici”, scrivono gli ex presidenti. 

 

L’editoriale di Volcker, Greenspan, Bernanke e Yellen arriva in un momento di grande pressione su Powell. Trump pretende di dettare la politica monetaria e, deluso dal mini taglio di un quarto di punto dei tassi di interesse deciso da Powell, non ha esitato a scatenare una guerra commerciale con la Cina annunciando nuovi dazi con conseguente crollo di Wall Street, pur di costringere Powell a un ulteriore taglio dei tassi per sostenere l’economia. “Il nostro problema non è la Cina, il nostro problema è la Fed”, ha twittato di nuovo ieri Trump. A questo si aggiunge il pressing sulle nomine del board, che attualmente opera con soli cinque membri su sette, dove Trump tenta da tempo di piazzare dei fedelissimi che sono noti più per la loro militanza politica che per le loro competenze (da Stephen Moore a Judy Shelton). Il problema, molto sentito negli Stati Uniti, si inserisce in una tendenza globale di assalto politico alle Banche centrali, partita dai paesi in via di sviluppo con curvature autoritarie, e che però si sta trasferendo anche nelle economie e democrazie avanzate. La stessa dinamica è stata vista all’opera in Italia, con il governo sovranista che ha attaccato ripetutamente i vertici della Banca d’Italia (insieme a tante altre autorità indipendenti) e, a differenza di Trump che si è limitato ai tweet e alle dichiarazioni, è andato oltre con mozioni e proposte di legge di Lega e M5s che minano l’indipendenza e l’autonomia della nostra banca centrale, nonché la regole alla base del funzionamento del Sistema europeo delle banche centrali e dell’Eurozona.

 

In Italia, a differenza degli Stati Uniti, su questi temi di difesa delle istituzioni si è preferito il silenzio – cercando di sopire i propositi sovranisti – anziché prendere una forte posizione pubblica. E’ vero che tra gli ex governatori di Bankitalia Mario Draghi non può intervenire per il suo ruolo al vertice della Bce e Antonio Fazio non ha la stessa autorevolezza degli ex presidenti della Fed, ma più in generale non c’è stato alcun tipo di reazione pubblica. Ma timore o indifferenza. E questo, più dell’assalto sovranista all’indipendenza delle istituzioni, è ciò che preoccupa.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali