Paul Volcker (foto LaPresse)

Le regole di Volcker

Ugo Bertone

L’uomo che uccise l’inflazione è morto. L’eredità dell’ex capo della Fed è una lezione di indipendenza

Nessuno ha segnato la storia della Federal Reserve quanto Paul Volcker, il gigantesco banchiere, più di 2 metri e due, scomparso lunedì a 92 anni di età. A lui i presidenti hanno affidato le missioni più delicate a partire da Richard Nixon che, nell’agosto del 1971, affidò a quel giovane funzionario del Tesoro, nemmeno 45enne, l’onere smontare il sistema di Bretton Woods decretando la non convertibilità del dollaro.

 

Nel 1980, quando l’economia mondiale era divorata dal morbo della stagflazione fu lui, nominato alla guida della Banca centrale, ad assumersi l’onere della guerra all’aumento dei prezzi non esitando ad alzare la leva dei tassi a un livello da brivido, il 21,50 per cento. Una decisione drammatica che, tra gli altri effetti, provocò il blocco dell’edilizia. In segno di protesta gli imprenditori edili subissarono la sede della banca centrale con blocchi di legno spediti da ogni angolo degli States. Ma Volcker tirò dritto finché non riuscì a domare i prezzi e la speculazione contro il dollaro. Un grande successo che probabilmente costò la riconferma al presidente Jimmy Carter, come lui democratico. Ma, al tempo stesso, un mattone che servì a consolidare il mito dell’indipendenza della banca centrale nei confronti della Casa Bianca.

 

Non a caso uno dei successori, Ben Bernanke, ha rispolverato i ceppi di legno anti-Volcker per metterli in bella mostra sulla scrivania a testimonianza della capacità del buon banchiere a tener testa alle pressioni delle lobby più potenti, banche comprese. Al punto che Barack Obama si rivolse a lui, dopo il crack di Lehman Brothers, per spezzare l’intreccio tra banca commerciale e banca d’ investimento e tornare alle regole che avevano governato la finanza dopo il tracollo del ‘29. Una missione, quella di Volcker, riuscita solo in parte per l’ostilità del mercato, insofferente di fronte ai vincoli all’azione dei vecchi e nuovi strumenti per far soldi, anche a costo di far correre rischi considerevoli agli istituti. Di qui l’insofferenza nei confronti di regole che impediscono alle banche di usare capitali propri per fare trading moltiplicando per “enne volte” il rischio con l’impiego di strumenti derivati, vere proprie armi improprie che Volcker, senza temere di esser considerato fuori dal tempo, disprezzava in sommo grado assieme ad altre innovazioni operative.

 

“L’ultima innovazione finanziaria davvero significativa – amava ripetere – è stata la nascita del Bancomat”. Non stupisce che la diga eretta da Volcker non abbia retto nel tempo: troppo forti gli interessi dei mercati che, in assenza di un aumento di profitti trainati dall’economia reale, sono obbligati a inventare innovazioni sempre più complesse e meno governabili. Con il beneplacito di Donald Trump, il cui consenso poggia assai sul boom dei mercati sei capitali, i colossi della finanza hanno ripreso a smantellare i capisaldi della Volcker Rule. L’attuale presidente della Federal Reserve Jerome Powell, sotto la pressione dei repubblicani ha così provveduto ad ammorbidire i vincoli del provvedimento. E così il 19 agosto scorso la Fed ha approvato una serie di concessioni al trading proprietario dei Big di Wall Street, incurante dell’ostilità di Volcker, gigante ormai forte solo di un grande prestigio bipartisan, conquistato a suon di no pronunciati nei confronti dei presidenti (sette in tutto) con cui ha lavorato in varie posizioni, spesso accollandosi i ruoli più ingrati e delicati inclusa una delle ultime missioni: render possibile la restituzione del denaro ai parenti delle vittime dell’Olocausto.

 

Come ai tempi della grande battaglia contro l’inflazione, quando la sua politica, oltre a far calare i prezzi al 3,2 per cento (dal 13) fece schizzare la disoccupazione oltre il 10. Ma nemmeno Wall Street dubitò dell’onesta personale di Volcker il figlio del segretario comunale di Teaneck, nel New Jersey, entrato al Tesoro con un curriculum di ferro: laurea a Princeton (con una tesi assai critica sulla politica del Fed nel dopoguerra, troppo tenera con l’inflazione), master a Yale e specializzazione alla London School. Uno così poteva entrare nel big business delle banche o a Wall Street ma non ha tradito, né all’epoca né più avanti, la vocazione a lavorare nel pubblico. Un civil servant dai costumi severi che, pur lavorando a Washington, ha sempre fatto il pendolare in treno con New York dove amava risiedere la moglie, di salute cagionevole. Un uomo con un solo debole: la passione per la pesca, un vizio che lo convinse a dare il suo assenso alla partecipazione al primo meeting di Jackson Hole, nel tempo diventato un appuntamento fisso per i banchieri centrali. Da oggi, a pieno titolo, una leggenda americana.

Di più su questi argomenti: