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Così Trump ammette che il protezionismo colpisce i consumatori

Mariarosaria Marchesano

Il presidente americano ha rinviato di tre mesi i rincari di tariffe sull’ultima tranche di 300 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina

Roma. La tradizione americana vuole che lo shopping natalizio cominci a fine novembre con il giorno del Ringraziamento. Ma la tendenza degli ultimi anni è quella di avviare le compere qualche settimana prima per evitare le lunghe code nei centri commerciali. Così, al presidente Donald Trump dev’essere sembrata un’occasione da non perdere quella di ingraziarsi i consumatori americani rinviando di tre mesi i rincari di tariffe sull’ultima tranche di 300 miliardi di dollari di merci importate dal paese asiatico. In cima alla lista dei prodotti esentati si trovano cellulari e laptop che rappresentano ben 80 miliardi di importazioni dalla Cina, seguiti da computer portatili, console per i videogiochi, alcuni giocattoli e articoli di calzature e abbigliamento. Insomma, prodotti hi-tech e di largo consumo, perfetti regali di Natale.

 

La mossa di Trump sembra, dunque, avere un fine di consenso elettorale in vista delle elezioni del prossimo anno in cui spera di essere riconfermato, ma è anche l’implicita ammissione che la guerra dei dazi finisce col pesare sul consumatore finale americano, tesi da lui sempre rigettata ma che tanti analisti ed economisti hanno sottolineato quando a inizio agosto c’è stato l’annuncio via tweet dei nuovi rincari. In quell’occasione, più di un osservatore rilevò che questa volta il presidente aveva esagerato perché i riflessi negativi sull’economia statunitense si sarebbero visti già a partire dall’ultimo trimestre del 2019 e per tutto il 2020. Di conseguenza, non sono mancate le previsioni al ribasso del pil americano da parte delle maggiori banche d’affari internazionali. Così Trump, con il solito gioco del bastone e la carota, ha voluto allentare la presa. A ben guardare, però, la decisione sposta solo di qualche mese in avanti i nuovi dazi – che dovrebbero essere applicati a partire dal 15 dicembre e non più dal primo settembre – e, comunque, nessuna tregua commerciale è stata ancora raggiunta tra Cina e Stati Uniti.

 

In modo indiretto, Trump ammette che innalzare barriere tariffarie ha un effetto sul pil e che la guerra commerciale con la Cina è ben lontana dall’essersi conclusa. Non è un caso che l’entusiasmo dei mercati di fronte all’annuncio dello slittamento si sia spento molto presto. Un po’ perché, alla fine, si è capito che i beni che per ora non subiranno gli aumenti di prezzo rappresentano solo la metà della tranche di 300 miliardi di dollari, e un po’ perché gli investitori hanno spostato l’attenzione sull’andamento anomalo di un importante indicatore finanziario – la curva dei titoli di stato americani a lunga scadenza, i Treasury – che mostra una chiara inversione di tendenza, segnale d’allarme di una possibile recessione.

 

Ieri, infatti, Wall Street, che martedì aveva festeggiato lo slittamento dei dazi con un netto rialzo, ha vissuto una seduta all’insegna del panic selling aggravando le perdite delle Borse europee, intimorite dalla prospettiva di una Germania in recessione tecnica e dalla battuta d’arresto della crescita della produzione industriale cinese ai minimi degli ultimi 17 anni.

 

Secondo il segretario al Commercio, Wilbur Ross, le preoccupazioni degli investitori per l’inversione della curva dei rendimenti dei Treasury sono eccessivi, ma il dato non può passare inosservato alla luce del taglio dei tassi appena apportato dalla Federal Reserve che avrebbe dovuto, invece, evitare una tale inversione. Prova ne è che i grandi magazzini Macy’s hanno subìto un tracollo sul listino americano perché gli analisti hanno tagliato le previsioni degli utili per quest’anno dopo che l’ultimo trimestre deludente. Trump si trova, forse per la prima volta dall’inizio della guerra commerciale con la Cina, in una posizione scomoda che rischia di fargli perdere popolarità in un momento cruciale della sua presidenza. Quale sarà la sua prossima mossa? La previsione degli analisti che presto ci sarebbe stato un nuovo appello alla Fed per ridurre ancora il costo del denaro si è rivelata azzeccata. Trump non si è fatto attendere: “la Fed deve fare qualcosa”, ha twittato ieri sera.

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